I Talebani sono una tappa obbligata della storia? L’unica certezza è che l’Occidente ha fallito

Fanno molto discutere in questi giorni le frasi di una consigliera del Pd in Toscana che ha definito l’avvento dei talebani come una tappa obbligata per la storia del paese. Affermazioni che, andando oltre l’indignazione verso tutto ciò che sconfina dal politicamente corretto, nascondono una verità difficilmente contestabile: l’Occidente ha fallito e il nuovo Emirato Islamico è soltanto la conseguenza di una guerra che fin dal principio è sembrata più direzionata a distruggere un nemico a prescindere che a contribuire alla costruzione di un nuovo sistema di diritti nel paese

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Nessuna democrazia è in grado di sopravvivere a una guerra di sette anni, spiegava a suo tempo George C. Marshall. Alla luce di quanto sta accadendo in Afghanistan, verrebbe quasi da correggerlo: nessun proposito di esportare democrazia nel mondo può sopravvivere a una guerra ventennale.  Stanno facendo molto discutere in questi giorni le dichiarazioni rilasciate al giornale IlTirreno da Nura Musse Ali, avvocata di professione, consigliera del Partito Democratico e attualmente uno dei componenti della Commissione Pari Opportunità in Toscana. Affermazioni forti, di cui era ben cosciente la donna che al giornalista ha subito premesso che qualcuno sarebbe rimasto sorpreso dalla sua opinione: “Sono a favore della presa del potere da parte dei fondamentalisti in Afghanistan, non perché condivida il loro modus operandi. Ritengo che quello che stiamo vivendo fosse una tappa obbligata della storia“. Dichiarazioni che hanno immediatamente scatenato un mare di polemiche e indignazione da parte di chi continua ad avere negli occhi le terribili immagini che arrivano dall’Afghanistan e le testimonianze di centinaia di persone che hanno visto ogni loro diritto soppresso in pochi giorni dal redivivo Emirato islamico. 

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Ma Ali è andata persino oltre, definendo la presa di potere dei talebani come una tappa “obbligata per la storia di un Paese, l’Afghanistan, ancora alla ricerca di un’identità politica e sociale, in cui l’Occidente non è riuscito a costruire niente di rilevante nella vita della gente comune“.  Chiariamolo subito: la consigliera dem poteva sicuramente esprimersi meglio, in un paese che fa del sensazionalismo la sua bandiera e che difficilmente riesce ad andare oltre la retorica atlantista in cui qualsiasi opinione che non condanna in modo assolutistico i talebani equivale a condividerne l’ideologia. Non erano quelle le parole giuste per esprimere un pensiero così forte, e si poteva egualmente restare reazionari  su una posizione politica così netta, senza finire in questo tritacarne mediatico. La consigliera del Pd ha avuto coraggio nell’esprimere una tesi così controcorrente, ma la sua ambiguità comunicativa ha trasformato un’interessante riflessione in un calderone di opinioni ormai inservibile.  A me quantomeno, sembra chiaro che era l’Occidente che Ali intendeva accusare, in un discorso che invitava a una riflessione sul fatto che, per dirla in parole povere,  non poteva che finire così. 

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Si può davvero leggere in questa intervista un’adesione al fanatismo talebano? In realtà, definire l’avvento dei talebani come un qualcosa di inevitabile, è l’unico modo che abbiamo per prendere pienamente coscienza del fallimento dell’Occidente, e dunque degli Usa, sulla guerra in Afghanistan, come d’altronde ha fatto notare il New York Times nel suo commento alle parole di Biden.  Un discorso estremamente ambiguo e per certi versi incomprensibile. Davvero si può ridimensionare fino a questo punto la questione afghana e i motivi che hanno spinto l’America a intraprendere questa guerra ? Davvero Biden può permettersi di negare davanti al mondo intero che la premessa americana, in quei drammatici giorni post 11 Settembre, era quella di esportare democrazia nel resto del mondo? Forse, ma non può che regnare una certa confusione in merito come diretta conseguenza, considerato che quella stessa premessa venne certificata da George Bush. E non con dichiarazioni pronunciate nel riserbo di una conversazione privata raccattata da un qualche giornalista in attesa del Pulitzer. È stata sbandierata così tante volte che, per dire, noi in Italia gli abbiamo dedicato una pagina su Wikipedia. 

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E qui torniamo alle parole della consigliera che ha quantomeno avuto il coraggio di dire ciò che tutti i politici ( quantomeno quelli che hanno studiato la questione) pensano, ma in che nome del politicamente corretto si guardano bene dall’affermare. Pena? Essere tacciati di connivenza ideologica con i terroristi, di insensibilità per chi ogni giorno viene ingiustamente lapidato dai talebani. Da quelle stesse persone che però, nulla hanno da dire quanto traffichiamo armi con chi ci uccide un ricercatore rifiutandosi apertamente di collaborare alle indagini sulla sua morte. L’avvento dei talebani era un passaggio inevitabile? Si, o meglio: con il senno del poi non poteva, per l’appunto,  che finire così. E dato che sono bravi tutti con il senno del poi, forse è più importante per il momento prenderne atto che disquisire sulle responsabilità, nonostante anche questo sarà un passaggio doveroso e necessario. Non perchè ogni proposito di esportare democrazia è dannoso e si riduce sempre e comunque all’insorgere di terrorismo e violenza.

È uscito in questi giorni un illuminante articolo sul Foglio che porta la firma di Cecilia Sala: “Le guerre giuste esistono e, se non esistessero, i pacifisti di sinistra direbbero che gli americani hanno fatto malissimo a combattere il nazifascismo. Le guerre giuste esistono e, se non esistessero, i sovranisti di destra direbbero che quella in Europa negli anni Quaranta era una guerra a migliaia di chilometri da casa e costosissima e pagata con i soldi del contribuente americano”. Ancora più interessante è la considerazione successiva: I pacifisti aggiungerebbero che bisogna rispettare l’autodeterminazione dei popoli: se la vedessero da soli gli italiani e i tedeschi. Chissà perché, invece, noi l’esportazione della democrazia ce la siamo presa e portata a casa senza tante storie. Ma al popolo afghano, per carità, non continuiamo a infliggere una tale umiliazione”. 

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È troppo semplice dire che di fronte all’avvento dell’emirato islamico, dobbiamo rispettare l’autodeterminazione del popolo afghano, che deve essere libero di rovesciare o subire un regime senza ingerenze esterne. Troppo semplice da affermare, ma non necessariamente sbagliato a prescindere considerato che ci troviamo di fronte ad uno dei dilemmi politologici più complessi della democrazia liberale, che difficilmente troverà mai una risposta univoca. Semmai ci tocca constatare che forse adesso non abbiamo scelta: possiamo fare in modo che il popolo afghano sappia che nei territori occidentali troverà il rifugio, altrimenti quale soluzione? Riprovarci? L’America interviene di nuovo per ristabilire l’ordine con il blocco europeo che gli guarda le spalle?

Il fallimento dell’Occidente

Il punto semmai, è che l’Occidente si è dimostrato totalmente inadeguato a esportare democrazia nel mondo, se proprio vogliamo usare questa espressione e semmai vi stata una genuina volontà politica in merito di estendere i diritti di questa democrazia liberale al resto del mondo.  L’America ha preteso di introdurre la democrazia in una nazione che nazione non è, allo scopo di evitare sul territorio nuove basi terroristiche e fornire alla popolazione un’alternativa concreta a quel vivere civile offerto dalla politica islamica. Il punto è che lo ha fatto sulla base di una logica, che se non vogliamo etichettare imperialista per far finta di evitare polemiche, può quantomeno essere definita immorale. Non si tratta soltanto del fatto che l’Occidente ha mostrato agli afghani come poteva essere la vita in una democrazia liberale senza però mai fornire una soluzione all’interno del territorio ( O la soluzione era un esercito unico?). E difatti, adesso agli afghani non resta che scappare, persino aggrapparsi ai carrelli degli aerei fino a quando non precipitano nel vuoto.  La rabbia dei talebani nei confronti degli Usa non avrà mai fine. Il perchè lo ha spiegato di recente Kissinger: in Afghanistan “la lotta ai ribelli poteva essere ridimensionata a contenimento, anziché annientamento, dei talebani”.  È anche normale che quando vuoi annientare qualcuno, se quello sopravvive e prende il potere di te non si dimentica. C’era bisogno di tutta questa crudeltà, di quella volontà di annichilimento totale del nemico a cui fa riferimento Kissinger?  Domanda forse troppo ingenua, forse fin troppo sensata.

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Definire la presa del potere da parte dei talebani come “una tappa obbligata nella storia” sembra in realtà l’unico modo per inquadrare con una certa consapevolezza il fallimento dell’Occidente, di una guerra i cui scopi e obiettivi erano ambigui fin dal principio.  Semplicemente, l’Occidente ha dimostrato di non essere in grado di assolvere a questa funzione e pensare che adesso dal nulla saremo in grado di aiutare il popolo afghano dall’interno, sembra più che altro l’annuncio di un tramonto molto atteso che, seppur con i suoi tempi, alla fine è arrivato. 

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