I talebani ora vogliono il riconoscimento da parte dell’Italia

Il portavoce dei talebani ha rilasciato un’intervista a Repubblica in cui invita il governo italiano a riaprire l’ambasciata nella nazione e riconoscere l’esecutivo di unità nazionale che si formerà a breve. La vera domanda è se l’Italia può realmente essere in grado di prendere una posizione politica diversa da quella che gli Usa stanno portando avanti in questi giorni. L’America ha infatti scelto, come sempre, la strada della realkpolitik, evitando, come sempre, di dirlo chiaramente ai propri cittadini

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“Lasciatemi aggiungere che vogliamo ristabilire buone relazioni con l’Italia, auspichiamo che il vostro Paese riconosca il nostro governo islamico. Spero che questa intervista possa rafforzare le nostre relazioni diplomatiche e politiche, per favore, e che l’Italia riapra la sua ambasciata a Kabul. Il vostro è un Paese importantissimo per noi per la sua cultura e la storia della filosofia. Questo per noi è essenziale”.

Con queste parole il portavoce del nuovo regime talebano Zabihullah Mujahid, ha invitato il nostro governo ad accettare formalmente il nuovo Emirato Islamico come interlocutore politico-istituzionale in Afghanistan. Un regime presentato più volte come una tragica e inattesa conseguenza del ritiro delle truppe americane dal suolo afgano, e che invece è sempre stato una prevedibile conseguenza degli accordi di Doha firmati da Trump. 

Che il nuovo governo in Afghanistan avesse imparato la lezione di fine anni novanta, quando il primo Emirato cadde rovinosamente e in pochissimo tempo a causa dei dissidi interni e della mancanza di una vera rete diplomatica con l’Occidente, era chiaro fin dai primi giorni del suo insediamento. E la questione diventa adesso pressante, in quanto, come spiega Mujahid, manca poco alla costituzione del nuovo esecutivo: Formeremo un governo d’unità nazionale il più presto possibile. Vorremmo creare un governo snello con la metà dei ministeri di prima. Abbiamo già trovato un’intesa con i mujahiddin ma il grande punto interrogativo rimane la nostra gente del Panshir. Purtroppo il dialogo non sta dando i frutti sperati. Ieri le forze di Ahmad Massud ci hanno attaccato due volte. Capite bene come il processo di pace da noi tanto auspicato si stia complicando. Per entrare nel governo abbiamo chiesto all’esercito del Panshir di arrendersi, altrimenti saranno schiacciati”.

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Uno dei primi atti politici dei talebani è stato quello di aprire degli account Twitter istituzionali per raccontare all’Occidente le intenzioni benevole del nuovo regime. A questo bisogna inoltre aggiungere l’appoggio fulmineo arrivato dalla Cina, frutto di un patto e di un calcolo politico stretto molto prima che il governo fosse proclamato. E adesso, in un’intervista rilasciata ai giornalisti di Repubblica, è arrivata anche la richiesta ufficiale: i talebani chiedono al governo italiano di riaprire l’ambasciata nel paese e accettare l’Emirato Islamico come interlocutore politico ufficiale della nazione. 

La palla passa al governo guidato da Mario Draghi, che mai come in questo momento si ritrova tra l’incudine e il martello.

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L’incudine non può che essere l’ambiguità dei vertici europei, che auspicano un dialogo con i talebani senza che questo però comporti un riconoscimento ufficiale del redivivo Emirato islamico. Non un ragionamento insensato quello portato avanti dall’Ue: è lo stesso pragmatismo politico insito nella democrazia liberale che suggerisce che a volte, trattare con il nemico pur ripudiandone i valori è l’unica soluzione possibile per evitare nuovi conflitti e la morte di migliaia di civili innocenti. Semmai l’impressione è che, come sempre, nella grandi questioni geopolitiche create ad hoc dall’America, si continuino ad utilizzare due pesi e due misure. Draghi, per fare un esempio, avrà anche dato pubblicamente del dittatore ad Erdogan, ma resta il fatto che problemi etici nel concedere legittimità politica ( nei fatti, non nelle dichiarazioni) a chi ha iniziato una vera e propria guerra contro i diritti delle donne, non ne abbiamo mai avuti. 

Il martello è naturalmente l’America che, come molte altre volte ci ha abituato, ha scelto la strada della realpolitik senza dirlo apertamente, evitando accuratamente di informare in modo chiaro a riguardo cittadini e opinione pubblica. 

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Ad ascoltare le dichiarazioni di Biden di queste settimane, verrebbe infatti difficile pensare che gli Usa stiano realmente prendendo in considerazione l’idea di instaurare con il regime dei talebani una collaborazione politica attiva.

Non fosse che è esattamente quello che sta accadendo, come testimoniano le recenti dichiarazioni del Capo di Stato Maggiore Usa Mark Milley, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il Ministro della Difesa Americana Lloyd: “In guerra si deve fare quello che devi per ridurre il rischio, non necessariamente quello che vorresti fare”. 

Resta da vedere però, conclude il militare, se i talebani siano realmente cambiati rispetto alle sentinelle sanguinarie che presero il potere negli anni novanta. 

In realtà, Mujahid ha già risposto a questo quesito indiretto nel corso dell’intervista concessa a Repubblica. Il riferimento è sempre l’Islam ( come può non esserlo per un autoproclamato Emirato islamico?) e l’Occidente non può certo pretendere che questo governo ripudi il credo politico-religioso che lo costituisce nella sua essenza tanto per regalare qualche diritto in più. 

Il tema su cui più si è concentrata l’opinione pubblica mondiale, da quando i talebani hanno preso il potere, riguarda il trattamento riservato alle donne. I talebani sono cambiati? Più corretto di dire che si è evoluta la loro comunicazione, impacchettata a dovere per inserirsi negli ipocriti ma sempre eterni canoni occidentali nella tradizionale farsa morale a cui assistiamo ogniqualvolta vi è da prendere una posizione etica su un conflitto.  

Le donne verranno perseguitate e considerate dei soggetti inferiori da proteggere dal degrado in cui li stava trascinando la cultura occidentale? No anzi, la speranza, spiega Mujahid, è quella di avere “brillanti studentesse” pronte ad essere le vere protagoniste della rinascita dell’Afghanistan. Nel rispetto però, dell’inferiorità conclamata che attribuisce loro il Corano. Queste infatti non potranno mai essere degne di poter ad esempio, diventare ministre nel loro paese, “ma seguendo i comandamenti del Corano e sotto la legge della sharia le donne potrebbero, ad esempio, lavorare nei ministeri, nel corpo della polizia o, ad esempio, nella magistratura come assistenti”.

Domanda: il governo italiano può realmente prendere una decisione autonoma a riguardo?  Una decisione che non venga invece stabilita a Washington e inoltrata in segreto ad una nazione, la nostra, che ha fatto della sudditanza alla politica estera americana un vessillo da innalzare con orgoglio?

L’opinione pubblica e una parte della politica italiana sembra già aver deciso in merito, basti solo pensare agli attacchi subiti da Giuseppe Conte all’indomani della presa di potere dei talebani, per aver semplicemente avanzato l’ipotesi che un dialogo con loro fosse indispensabile. Dichiarazioni che l’ex premier fu immediatamente costretto a ritrattare, a causa di una feroce indignazione dell’opinione pubblica che non accetta tutt’ora nessun tipo di trattativa con chi sopprime i diritti in modo così feroce. ( o meglio, non l’accetta con chi viene pubblicamente accusato e condannato di questi crimini).

Che poi, come hanno fatto notare diversi commentatori politici, nulla disse Conte di diverso dalle dichiarazioni rilasciate successivamente da Borrell. 

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Viene da chiedersi cosa farà ad esempio il Partito Democratico, ovvero la compagine che più ha attaccato Conte in tal senso, se tra qualche giorno l’ordine di dialogo arrivasse direttamente dai vertici europei, cosa che in realtà è già accaduta e che probabilmente verrà esplicitata in modo molto più chiaro tra qualche settimana. L’impressione, è che la lotta all’Isis K sarà la scusa perfetta per rendere i talebani se non alleati, quanto meno attori politici da non scalzare e invece considerare nelle grandi questioni geopolitiche. 

E come sempre, sarà l’America a guidarci in questo processo di transizione politica. Perchè si, i talebani saranno sempre considerati un pericolo internazionale e difficilmente verranno istituzionalizzati come abbiamo imparato a fare con altri regimi simili.

Ma le parole del capo di stato maggiore Usa mostrano chiaramente come la scelta sia già stata fatta, e a Draghi non resta forse che fingere di poter realmente prendere una decisione a riguardo.

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