I talebani hanno decapitato una pallavolista, ed è soltanto l’inizio

Uccisa per il suo rifiuto di smettere di giocare. Tutte le paure che l’Occidente ha mostrato dal primo giorno in cui è nato l’Emirato islamico, sono adesso diventate realtà.

Si chiamava Mahjabin Hakimi, era una pallavolista afghana, e questo è il motivo per cui è stata decapitata. La notizia arriva dal The Independent persiano, e a svelare l’uccisione di questa giovanissima da parte dei talebani è stata un’allenatrice la cui identità però è rimasta anonima. E il dettaglio più atroce, è che in seguito le sue foto sarebbero state postate sui social dai suoi stessi aguzzini. Hakimi da quanto si apprende sarebbe stata uccisa alcune settimane fa, ma i familiari avrebbero scelto il silenzio nel timore di una vendetta da parte dei talebani. Militava nella nazionale junior e la sua morte sarebbe stata sentenziata dall’Emirato Islamico a causa del suo rifiuto di smettere di giocare. Un’ostinazione inaccettabile per chi, come i talebani, ritiene la donna un oggetto di proprietà da custodire.

Lo aveva d’altronde spiegato un mese fa il nuovo Ministro degli Esteri Afghano Ahmadullah Wasiq:

“Non credo che alle donne sarà permesso di giocare a cricket perché non è necessario che le donne giochino a cricket. Nel cricket potrebbero affrontare una situazione in cui il loro viso e il loro corpo non saranno coperti. L’Islam non permette che le donne siano viste così. ’Islam e l’Emirato Islamico non consentiranno alle donne di giocare a cricket o di praticare un tipo di sport in cui vengono esposte”

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Fin dai primi giorni dal suo insediamento, l’Emirato Islamico ha iniziato a “schedare” tutte le donne che praticavano sport professionisti nella nazione per informarle dei loro nuovi doveri politici. Mahjabin Hakimi giocava in una squadra chiamata Kabul Municipality Volleyball Club. Non era purtroppo tra le atlete che con l’aiuto della Fifa erano riuscite a lasciare la nazione un mese fa. I talebani oltretutto, fin dal primo giorno del loro insediamento, hanno cercato di rintracciare con un’attenzione particolare tutte le componenti della squadra di pallavolo. Erano le atlete più in vista, più esposte, quelle che avevano già gareggiato in competizione internazionali, le loro gare erano apparse sulle televisioni occidentali. Hakimi era tra quelle che non è riuscita a scappare. Capiremo adesso in che modo l’orrore e l’indignazione per un delitto così atroce e infame verrà declinato sui media occidentali. Assurdo pensare che adesso la politica trovi il coraggio di “sorprendersi” di quanto accaduto, considerato che si tratta delle stesse persone che hanno preteso intransigenza e nessun dialogo con i talebani, proprio in virtù di un’ideologia che non lascia scampo ai più deboli. 

Soltanto un mese fa il segretario generale dell’Onu Guttieres ripeteva che avviare un dialogo con l’Emirato Islamico era l’unico modo per “evitare milioni di morti”. Una considerazione drammaticamente vera. Cosa fare però adesso? Qui non si tratta di un dissidente politico ucciso, una situazione che i talebani potevano “riciclare” ai media occidentali in modo molto più sfumato e ambiguo. E infatti, il The Indipendet persiano ha aggiunto un particolare non da poco: Hakimi è stata uccisa e decapitata settimane fa, e lo scopriamo adesso perché i talebani avevano intimato alla famiglia di non parlare, ben consci di quanto un episodio del genere potesse fare scandalo in Occidente. 

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Qui si parla di una donna che è stata uccisa per il solo fatto di essere una donna che voleva praticare sport. 

Non è una situazione semplice: se la comunità internazionale valuta adesso di intraprendere iniziative politiche di un certo rilievo contro i talebani, vi è davvero il rischio di andare incontro a milioni di morti come paventava il segretario generale dell’Onu.

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Non fare niente, continuare come se nulla fosse, sembra però una soluzione impossibile da accettare per chi sente di appartenere a questa democrazia. 

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