Il colpo di stato in Sudan era annunciato da settimane

Che i militari potessero spodestare il governo era una possibilità di cui il premier Hamdok parlava apertamente da tempo. D’altronde soltanto un mese prima, era stato l’esecutivo a informare la popolazione di aver sventato un tentativo di golpe

Il 25 Ottobre del 2021, l’esercito militare del Sudan ha fatto irruzione nell’abitazione privata a Khartoum di Abdallah Hamdok, primo ministro della nazione. 

Un’operazione che ha dato inizio al colpo di Stato che ha di fatto esautorato il premier, a cui i militari dopo l’irruzione, avevano affidato un comunicato da leggere per spiegare alla nazione che adesso era l’esercito a prendere il potere allo scopo di condurre i cittadini a delle libere elezioni nel 2023. Hamdok però si è rifiutato e allora è toccato al generale Abdel Fattah al-Burhan annunciare alla popolazione lo scioglimento del consiglio dei ministri, e la proclamazione dello stato di emergenza nazionale con la conseguente formazione di un governo di transizione sotto il controllo diretto dei militari. Nel suo discorso al Sudan, il generale ha affermato che l’esercito si è ritrovato costretto ad intervenire in quanto “i dissidi interni al governo stavano minacciando la pace e la stabilità sociale”. Poche ore dopo l’arresto del premier, toccherà la stessa sorte a diversi suoi ministri e funzionari. 

La notizia non è stata presa bene dai cittadini: molti di loro si sono riversati per protesta nelle strade, costringendo i militari a sparare sulla piazza provocando decine di morti. Tutti i gruppi pro-democrazia nello Stato sembrano essere concordi nel definire illegittimo il colpo di Stato perpetuato dall’Esercito e hanno invitato la popolazione a diffidare dei militari, e a scendere a protestare in piazza nel modo più pacifico possibile e “difendere la rivoluzione da chi sta cercando di rubarla”.  

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Il colpo di stato avvenuto in Sudan in questi giorni è stato fuorché inaspettato: lo scorso 21 Settembre il governo aveva informato la popolazione e la comunità internazionale di aver sventato un tentativo di golpe, organizzato da alcuni comparti militari che a quanto pare, sono ancora fedeli all’ex regime sudanese Al Bashir. C’è anche chi sostiene che la scelta dell’esercito di spodestare il premier nasca da un disegno di legge che il suo esecutivo intendeva presentare per riformare l’intero corpo militare dello stato. Un modo, si diceva, per riuscire ad epurare proprio quegli ex fedeli al regime di Al-Bashir che secondo molti sono i veri fautori del colpo di stato avvenuto in Sudan nei giorni scorsi. 

Che la situazione fosse critica ormai da settimane il premier Hamdok non lo ha mai nascosto. In uno dei suoi ultimi discorsi pubblici aveva raccontato di pressione indebite sul suo esecutivo a parte dei militari che stavano trascinando la nazione dentro una crisi molto “pericolosa”. Alla fine però, i militari hanno rilasciato Hamdok, probabilmente sospinti dalle condanne repentine arrivate dalla comunità internazionale per quanto stava accadendo nel paese. L’ormai ex premier si trova adesso insieme alla moglie nella sua casa a Khartoum, ma non è chiaro quanto i due siano realmente liberi di muoversi, considerato che l’esercito per questioni di sicurezza ha sostanzialmente circondato il suo quartiere. 

Il golpe in Sudan del 2019

Quanto accaduto in Sudan ha radici e cause profonde, sia con con il regno di Al Bashir, come sottolineato in un editoriale uscito di recente su Focus on Africa, ma anche con il golpe che nel 2019 che ne sancì la sua destituzione.  L’11 Aprile del 2019 l’esercito sudanese si sostituì  al governo proclamando lo stato di emergenza nazionale. A governare le operazioni, il generale Ahmed Awad Ibn Auf, che nell’esecutivo che aveva appena destituito, dichiarandosi capo di stato in pectore, ricopriva il ruolo di Ministro della Difesa e Vicepresidente del governo. Al Bashir, guida indiscussa della nazione fino a quel momento, fu costretto ad abdicare e a nulla servirono le manifestazioni in suo sostegno organizzate dal Partito del Congresso nazionale. 

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Il nuovo governo durò pochissimo: il 12 Aprile del 2019 il generale Auf lasciò il posto alle stessa persona che in questi giorni ha preso le redini del governo: il generale Abdel Fattah al-Burhan. Difficile per il momento capire a quale destino sta andando incontro la popolazione sudanese. Bisognerà in primo luogo comprendere se realmente l’esercito voglia limitarsi ad accompagnare il paese verso nuove elezioni, o se invece è stato soltanto un primo passo per riconquistare il potere, per un corpo, quello militare, che nella storia della nazione ha sempre svolto e rivendicato un ruolo di primo piano nel decidere le sorti della politica.

A discapito naturalmente della democrazia, come testimoniano le morti di innocenti sudanesi scesi in piazza per esprimere il loro dissenso. 

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