Salvini leader riconfermato, tregua con Giorgetti: cosa accade nella Lega?

La Lega va verso un’intesa, o meglio, una tregua: al Consiglio federale indetto nel giro di 24 ore dal segretario del partito prevale la linea sovranista di Matteo Salvini, alternativa alla sinistra e al Ppe europeo. Anche Giancarlo Giorgetti, che negli ultimi tempi è stato contraddistinto come esponente della “Lega governista”, ha rinnovato la sua fiducia nell’attuale leader. Ma nella Lega persiste un clima strano: cosa accade nel partito?

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Di Lega ce n’è solo una“: è questo il mantra di diversi esponenti di partito, di Salvini e di Giorgetti, quasi ad allontanare lo spettro di quelle che – in altre forze politiche – vengono chiamate “correnti”. Perché c’è un punto politico che si riproporrà in futuro e che, con il Consiglio federale di ieri, è solo giunto a una tregua: non si possono affrontare profonde trasformazioni della linea politica senza incappare nella creazione di correnti che, prima o poi, emergeranno. Quando Salvini decise di togliere la parola “Nord” alla Lega, attuò una prima trasformazione che mise a tacere, almeno a livello ufficioso, la linea di partito indipendentista. Quando Salvini ha deciso di cambiare vesti e presentarsi come liberale moderato (per far entrare la Lega nella maggioranza a sostegno del governo Draghi) ha incentivato un’ulteriore trasformazione che, inevitabilmente, ha ridimensionato la Lega di lotta per rinforzare la voce della Lega di governo. Quando Salvini decide di rincorrere Giorgia Meloni sul campo dello scetticismo No Green Pass e No Vax, attua una trasformazione ulteriore.

Il problema è che questi repentini cambi di prospettiva il leader della Lega li sta adottando simultaneamente, portando avanti quel doppio gioco di cui tanto si è parlato (Giorgetti al governo e Salvini in piazza). E la tempistica non è un fattore indifferente: concentrare le ambiguità in un brevissimo lasso di tempo impedisce al partito e all’elettorato di assorbire il colpo, e rischia di condurre il partito verso la rottura. Questo, più o meno, sembra essere il grande non-detto che è causa del Consiglio federale convocato nel giro di 24 ore da Matteo Salvini, per dettare una volta per tutte la linea politica della Lega. Almeno nelle intenzioni. In realtà, si è deciso semplicemente di confermare l’attuale “frontman”, Matteo Salvini, ma in un clima di ambiguità.

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Lega, accantonate le tensioni tra Salvini e Giorgetti

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Chissà se sarà sufficiente a placare gli animi il discorso di ieri di Matteo Salvini, durato circa 50 minuti, incentrato su alcune parole d’ordine, tra cui la lotta per il taglio delle tasse e la collocazione del partito in Europa. L’ultimo punto è da tempo un tema scottante nella Lega, divenuto ancora più caldo dopo le ultime dichiarazioni d Giorgetti riportate tra le anticipazioni del prossimo libro di Bruno Vespa. “Se vuole istituzionalizzarsi in modo definitivo — dice Giorgetti — Salvini deve fare una scelta precisa. Capisco la gratitudine verso la Le Pen, che dieci anni fa lo accolse nel suo gruppo. Ma l’alleanza con l’Afd non ha una ragione. Alla domanda “Salvini la svolta europeista l’ha fatta?“,  Giorgetti ha risposto: “È un’incompiuta. Ha certamente cambiato linguaggio. Ma qualche volta dice alcune cose e ne fa altre. Può fare cose decisive e non le fa” (come approdare al Ppe). “Non ho bisogno di un nuovo posto. Voglio portare la Lega in un altro posto“.

Ecco, su queste parole si è scatenata la reazione di Salvini, che al Consiglio federale ha messo i puntini sulle “i”: “La visione della Lega è vincente, ne sono convinto. Non inseguiamo la sinistra, perché altrimenti perdiamo… (…) Il Ppe non è mai stato così debole, è impensabile entrare nel Partito popolare anche perché è subalterno alla sinistra. E noi siamo alternativi alla sinistra”. Insomma, Salvini non fa passi indietro sulla strada tracciata insieme al premier ungherese Viktor Orban e al polacco Mateusz Morawiecki è segnata. E Giorgetti incassa.

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La calma (di superficie)

Al Consiglio federale della Lega anche l’attuale ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti ha votato a favore della riconferma della linea di Salvini, ammettendo la sua incapacità di comunicare con i giornalisti ma ribadendo, successivamente, il senso delle sue parole, pronunciate in più occasioni. Alla fine, la nota del partito: “Il Consiglio federale ha votato all’unanimità la condivisione della linea politica affidando mandato pieno al segretario Matteo Salvini sulla via della Lega nazionale“. Salvini esce soddisfatto, o quanto meno sollevato: “Voto unanime e mandato pieno al segretario che adesso ha fame e va a mangiarsi un piatto di pasta a casa, senza Di Maio e senza la pizza“, dice il leader facendo riferimento alla cena privata tra Giorgetti e Di Maio che – si evince dalle dichiarazioni – l’ha infastidito non poco. “Un bel consiglio federale. Una bella discussione, il confronto è sempre positivo. Salvini ha ascoltato tutti, anch’io ho espresso le mie idee. La Lega è una, è la casa di tutti noi e Salvini ne è il segretario. Saprà fare sintesi, porterà avanti la linea“, commenta il vicesegretario della Lega, Giancarlo Giorgetti, al termine del consiglio federale.

Pace fatta o tregua?

Il problema è che queste parole hanno più l’apparenza di una tregua che di una pace conclamata. Il secondo atto potrebbe avere luogo in occasione dell’assemblea programmatica prevista l’11 e il 12 dicembre, insieme a parlamentari, governatori, sindaci, esponenti di governo ed eurodeputati. Lo scopo: tirare le fila sulla linea del partito. Salvini parla di un’occasione per “sancire, aggiornare e decidere i binari su cui viaggiamo“, ma molti salviniani hanno il sospetto che possa trasformarsi “in un boomerang”. Il rischio c’è, perché all’interno del partito gli animi restano divisi. Come riportato dal Corriere della Sera, nel partito c’è chi prova rammarico, e crede che “il governo Draghi avrebbe potuto per noi essere l’occasione di cambiare pelle, di trasformarci nel partito centrale del centrodestra occupando buona parte dello spazio che era di Forza Italia, lasciando ai Fratelli d’Italia la destra. E invece insistiamo nel volerci schiacciare là…“. E c’è anche chi crede, invece, che sarebbe stato meglio rimanere fuori dal governo.

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Maroni: “Sarebbe bene fare quello che dice Giorgetti”

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A suggellare l’impressione, le parole di Roberto Maroni, tra i fondatori della Lega e presidente della Consulta contro il Caporalato, che in un’intervista a la Repubblica ribadisce: “Sarebbe bene fare quello che dice Giorgetti. Occorre che la Lega aderisca al Ppe. Giorgetti che è il più democristiano dei leghisti ha ragione. Converrebbe anche a Salvini, che potrebbe prendere il posto di Silvio Berlusconi. Diventare così il leader di un centrodestra moderato in Italia in grado di dialogare con le forze di centro che non hanno tanta forza. Lasciando a Giorgia Meloni il ruolo della destra”. Tuttavia questo non avviene, anche perché – secondo Maroni – “Salvini dà troppo poco ascolto a quelli che non la pensano come lui. Ascolta solo gli yes man di cui si circonda. Sono convinto che su questo terreno si possa recuperare. A patto che Salvini si rimetta ad ascoltare le sezioni, gli imprenditori, la gente. E quelli come Giorgetti che lo criticano, ma sanno fare politica”.

Ma se un accordo tra le diverse anime di partito restasse irrealizzabile, “chi non è d’accordo dovrebbe andarsene“, ribadisce Maroni in riferimento a Giorgetti. Tanto basta per tracciare un perimetro di confronto estremamente frastagliato, e che rischia di incidere negativamente sulla solidità del governo. Per questo gli appelli alla responsabilità si rinforzano, anche da parte degli esponenti storici della Lega, come Roberto Maroni: “Draghi deve restare a fare il premier almeno fino alle Politiche del 2023. La sua salita al Quirinale farebbe perdere troppo tempo tra consultazioni e il resto. Ci costringerebbe a rinunciare all’utilizzo i fondi del Pnrr che poi dovremmo restituire. L’Europa non fa sconti”.

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