Sieropositivo ebbe rapporti con 228 partner: «L’Hiv non esiste, è una balla»: la pena definitiva

Claudio Pinti, 38 anni, era spesso sulle chat di incontri. L’uomo contagiò la compagna e la Cassazione sentenzia:«Lo fece consapevolmente». La donna è morta nel 2017

Claudio Pinti-Meteoweek.com

È giunta la sentenza definitiva per Claudio Pinti, 38 anni, di Montecarotto, in provincia di Ancona. La Cassazione lo ha condannato a 16 anni e 8 mesi per omicidio volontario e lesioni personali gravi. L’uomo, infatti, era consapevole di contagiare l’ex compagna e l’ex fidanzata con l’Hiv, malattia da cui era affetto. Pinti aveva trasmesso il virus all’ex compagna Giovanna Gorini, deceduta nel 2017 e all’ex ragazza Romina Scaloni. Con questa sentenza, la Cassazione ha respinto il ricorso della difesa.

Pinti sapeva della sua sieropositività, ma continuava ad avere rapporti sessuali senza protezione. Cinico e per certi versi anche negazionista, Pinti, nel corso del tempo avrebbe esposto a rischio contagio Hiv circa 228 partner. Era un untore seriale, fermato grazie all’arresto eseguito dalla polizia di Ancona, il 12 giugno 2018, dopo la denuncia della sua ex fidanzata, Romina Scaloni.

Il processo ha visto la condanna dell’uomo per omicidio volontario e lesioni personali gravissime. Nel 2017, Giovanna Gorini, ex compagna di Pinti, con cui l’uomo ha avuto una figlia, morì per una malattia legata all’Hiv.

Nel periodo in cui Pinti era legato a Gorini, il 38enne era solito frequentare chat di incontri, in cerca di donne e uomini con cui intessere rapporti sessuali senza protezione. «In questi anni l’ho fatto con 228 partner diversi, se volete vi aiuto a cercarli», raccontò lui stesso ai poliziotti. Diffondeva l’Hiv ignorando totalmente la gravità delle lesioni provocate. Aveva nascosto di essere sieropositivo anche a Scaloni, la donna che aveva cominciato a frequentare dopo il decesso della sua ex compagna.

Scaloni fu avvertita troppo tardi da conoscenti in comune. E così Pinti, per giustificarsi, le aveva mentito: «Ho rifatto gli esami e non è risultato nulla. LHiv non esiste, è una balla, sono i farmaci che ti ammazzano».

La difesa, dopo le prime due condanne per Pinti, fece ricorso in Cassazione, chiedendo «la nullità del processo, l’annullamento del reato di omicidio contestato e la rivalutazione in termini di colpa e non di dolo». Il 10 settembre, i magistrati della Cassazione avevano deciso di prendersi tre mesi di tempo, secondo l’articolo 615 del codice di procedura penale, «per la molteplicità o per l’importanza delle questioni da decidere». Oggi la scelta di respingere il ricorso della difesa.

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«La sentenza non ci è favorevole, non è quello che ci aspettavamo. Quando avremo le motivazioni del giudice potremo commentarla. Ho sentito Pinti, è incredulo. Ritenevamo fondato il nostro ricorso», ha detto il suo avvocato.

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La Cassazione ha respinto il ricorso e a questo punto la condanna a 16 anni e 8 mesi diventa definitiva. Nonostante la vicenda sia chiusa, la difesa non esclude di fare ricorso alla Corte europea. «Lo stiamo valutando, ma prima vogliamo leggere le motivazioni e il ragionamento della Corte di Cassazione», spiega Rao Camemi.

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