“Draghi servirà meglio il Paese dal Quirinale”, secondo il Financial Times

Il quotidiano britannico di economia, Financial Times, ha fatto un’analisi su chi e come dovrebbe salire al Quirinale dopo Sergio Mattarella. 

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“Draghi servirà meglio il Paese dal Quirinale”, secondo il Financial Times – www.meteoweek.com – Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, e Mario Draghi, presidente del Consiglio. Credit: Meteoweek

Il Financial Times vorrebbe vedere il presidente del Consiglio Mario Draghi al Quirinale. L’autorevole quotidiano finanziario del Regno Unito lo ha messo nero su bianco in un editoriale firmato da Bill Emmott, il più longevo dei direttori dell’Economist dagli anni ’70 a oggi e che adesso scrive regolarmente per diversi giornali internazionali tra cui il Financial Times. Secondo il Ft il premier  “può servire meglio il Paese” come presidente della Repubblica, piuttosto che da Palazzo Chigi. Ne segue un’attenta analisi, a partire dall’uso che verrà fatto dei fondi europei del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza).

La “second best” di Draghi

“Da ottimo economista – è scritto sul Financial Times – Mario Draghi conosce la teoria del ‘second best’, della seconda migliore opzione. In un mondo perfetto, dovrebbe rimanere premier per tutti i cinque anni del piano nazionale di ripresa e resilienza degli investimenti pubblici e delle riforme, il Pnrr finanziato essenzialmente dall’UE che ha messo in carica da quando è entrato in carica a febbraio”.

“Ma se il risultato perfetto è irraggiungibile, è giusto optare per la migliore soluzione imperfetta: vale a dire che Draghi sia eletto presidente della Repubblica dal Parlamento a fine gennaio, e da lì per i prossimi sette anni sovrintenda alle questioni come capo dello Stato”. Secondo Emmott, dunque, il motivo per cui Draghi dovrebbe salire al Colle sarebbe la possibilità di continuare a supervisionare gli investimenti del Paese fino al 2026, data di scadenza per lo stanziamento delle risorse di Bruxelles. In caso contrario, se il premier rimanesse a Palazzo Chigi, il suo mandato terminerebbe nel 2023.

La precaria stabilità del governo

Un altro dei motivi che dovrebbero portare il presidente del Consiglio al Quirinale, sarebbe secondo il Ft la precaria stabilità del suo governo. Finora l’esecutivo di larghe intese ha funzionato perché i partiti si sono concessi una tregua per l’avvento dell’ex presidente della Banca Centrale Europea (Bce) a Palazzo Chigi. Le cose potrebbero precipitare a ridosso delle prossime elezioni politiche, appunto nel 2023. “Un’altra idea di cui si parla tanto – ovvero che Draghi rimanga primo ministro fino al 2023, quando si terranno le prossime elezioni generali – è un’illusione”.

In quel modo Draghi non potrebbe realizzare altrettanti “notevoli progressi come nei suoi 10 mesi in carica” perché questi ultimi “sono dipesi dalla tregua” tra i partiti dell’ampia coalizione che lo sostiene, dove solo Fratelli d’Italia è all’opposizione. “Dopo gennaio, quel cessate il fuoco potrebbe durare per altri sei mesi al massimo prima che prenda il sopravvento la febbre elettorale: sei mesi con le mani su un volante sempre più tremolante rispetto a sette anni da autorevole vigile urbano. Questa è la vera scelta di fronte a Draghi e ai deputati italiani“.

Un secondo mandato per Mattarella?

Il Ft non esclude neanche la possibilità che alla fine il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si convinca a rimanere per un secondo mandato, ma “questo – ha aggiunto ancora il giornalista – rimanderebbe soltanto la questione e aumenterebbe il rischio” che qualcun altro, al posto di Draghi vada al Quirinale. “Non è questo il modo ideale per rivitalizzare un Paese, rimasto in una situazione stagnante per la maggior parte” della storia recente. D’altronde, “una riforma da manuale richiederebbe 10 anni di mandato, aiutato da una base politica stabile. Nel mondo reale, costantemente volatile, della politica italiana, il governo Draghi ha già ottenuto molto: il piano di spendere 191,5 miliardi di euro dal Fondo UE Next Generation, più 30,6 miliardi di euro di fondi propri dell’Italia, si è attirato elogi”.

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Gli investimenti di Draghi

“I suoi investimenti in infrastrutture, transizione energetica e digitalizzazione puntano a soddisfare i criteri stabiliti dallo stesso Draghi nell’agosto 2020 da privato cittadino, quando sostenne che il debito pubblico aggiuntivo potesse essere giustificato solo se in grado di aumentare il potenziale produttivo dell’economia. La difficoltà è che fare tutto ciò richiede non solo che i soldi siano ben spesi; deve essere accompagnato da riforme profonde e sostenute della pubblica amministrazione, della giustizia e del sistema fiscale. Gli investitori privati devono arrivare a credere che tali cambiamenti siano permanenti”. Al contrario, nel Paese c’è il rischio concreto che “questa raffica di investimenti pubblici garantisca all’Italia diversi anni buoni, dopodiché ristagni”.

“Alcune di queste riforme – è scritto ancora nell’editoriale del Financial Times – sono cominciate con una serie di leggi approvate quest’anno. Ma in Italia non sono mai mancate nuove leggi. Ciò che è mancato è stata l’attuazione consistente e coerente delle riforme. Qualche mese in più di Draghi come premier sarebbe utile per questo, ma non trasformativo. Occorre che gli equilibri della politica italiana si spostino verso l’accettazione e l’attuazione a lungo termine di tali riforme, affinché possano durare attraverso i successivi governi”. Questo cambiamento profondo del Paese potrebbe essere realizzato, secondo il Ft, solo “da un capo di Stato tenuto in grande considerazione in patria e all’estero, in altre parole Mario Draghi”.

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L’importanza del presidente della Repubblica in Italia

“Per decenni, la presidenza italiana è stata marginale ed essenzialmente di funzione cerimoniale. Ma poiché i partiti politici si sono andati frantumando negli ultimi tempi, i presidenti hanno utilizzato i limitati poteri del ruolo – scioglimento del Parlamento, designazione dei premier, approvazione degli esecutivi – in modo sempre più efficace”. Ma non gli ultimi due, secondo Emmott. Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, ha scritto l’editorialista, sono stati una via di mezzo “tra un presidente non esecutivo e un papa laico”.

“Se Draghi salirà al Quirinale a febbraio, probabilmente rimarrà un sostegno sufficiente in Parlamento per la formazione di un nuovo governo ad interim”, che probabilmente sarebbe guidato “da uno dei suoi attuali ministri non politici”. Vale a dire un “governo fotocopia, il più vicino possibile al governo Draghi”. Infine il Ft ha avvertito: “Sarà debole e probabilmente incapace di approvare molte leggi. Ma – è la conclusione definitiva – potrebbe fare un importante lavoro di comunicazione all’esterno portando a termine nel contempo la gran parte del lavoro di dettaglio necessario per spendere bene i soldi dell’Ue. A quel punto sarebbe tutto in gioco nelle elezioni del 2023, supervisionate dal presidente Draghi”. 

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