Morte Stefano Cucchi: la famiglia chiede 2 milioni di risarcimento

“E’ stato fatto di tutto per tenere nascosta la verità” afferma il legale della famiglia Cucchi. A processo ci sono otto carabinieri

Non si ferma la battaglia legale sulla morte di Stefano Cucchi. Alla luce del depistaggio attuato dagli otto carabinieri sulla morte del giovane romano, la famiglia di Cucchi ha deciso di chiedere allo Stato un risarcimento di 2 milioni e una provvisionale di 750mila euro. “Non ce la facciamo più – ha affermato il legale dei Cucchi Fabio Anselmo -. Siamo stati carne da macello per queste persone, ma noi siamo essere umani: è stato fatto di tutto per nascondere responsabilità gravi“.

Durante la discussione al processo, Anselmo ha ricordato come il corpo di Stefano fosse “un mappamondo di lesioni. Questa è stata una vicenda tremenda per la famiglia, per gli agenti penitenziari, per lo Stato, e anche per l’Arma che è parte civile. Da queste quaranta udienze, da questa inchiesta, è emerso che esistono tanti parti sane nell’Arma dei carabinieri”. Il legale ha ricordato come nel 2015 si è però perso il treno per poter rimediare e si reiterato il depistaggio. Anche dopo quella data e anche per quello che è accaduto in quest’aula ci sono stati segnali inquietanti”.

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Questo processo non è solo fatto di articoli, eccezioni, è fatto di vicende umane. C’è anche chi ha avuto il coraggio di parlare” continua il legale nell’aula bunker di Rebibbia dove si svolge il dibattimento. “Quando parlo di umanità penso a Colombo Labriola (uno degli otto imputati e all’epoca dei fatti comandante della stazione di Tor Sapienza, dove Cucchi fu trattenuto nella camera di sicurezza), non si può non apprezzare il suo comportamento processuale, il suo coraggio nel tenere testa ai superiori, la sua onestà intellettuale nel riferire ciò che andava anche contro di sé”.

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A processo per il depistaggio sono imputati otto carabinieri: il generale Alessandro Casarsa all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, e altri 7 carabinieri, tra cui Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma. Le accuse, a vario titolo e a seconda delle posizioni sono quelle di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Per tutti loro il pubblico ministero Giovanni Musarò ha chiesto la condanna.

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