93 anni, Comune le dà la casa popolare ma non le chiavi: muore nell’attesa

La storia kafkiana di una signora originaria dell’Etiopia ma residente a Roma. Sfrattate la nipote e la pronipote.

Il capitolo dell’emergenza abitativa a Roma potrebbe benissimo essere uscito da un romanzo di Franz Kafka. Ultimo caso in ordine di tempo, quello della signora Aiele Sandri Ghidei, originaria dell’Etiopia ma da anni residente nella capitale. La signora Ghidei è morta attendendo ancora di poter ricevere una casa già assegnatale da quattro anni ma mai consegnata: sembrerebbe uno dei racconti del famoso scrittore praghese, e invece è solo la cruda realtà.

Un incubo burocratico

La storia ha inizio da un Caat, uno dei centri di accoglienza alloggiativa del Comune dove vivono famiglie che da anni sono in lista di attesa per ricevere le case popolari: uno strumento temporaneo per risolvere l’emergenza degli alloggi (o meglio, per cercare di risolverla). Il nucleo famigliare di Aiele Ghidei, composto da lei, dalla nipote Yergalem e dalla pronipote, vive dal 2005 nel centro di via Farnia, aspettando che il Comune le assegni finalmente una casa popolare dell’Ater.

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E nel 2018, dal Dipartimento politiche abitative del Comune, arriva finalmente l’assegnazione: si tratta di una casa popolare di 51 metri quadrati situata in zona Torrevecchia. L’assegnazione era riferita alla signora Ghidei, 90 anni di età all’epoca, nelle vesti di capofamiglia: assieme a lei ci sono anche la nipote e la pronipote. Tutte e tre sono finalmente pronte a trasferirsi in una casa definitiva. Anche la trafila burocratica è arrivata alla conclusione. Tutto è pronto, tutto lascia prevedere che dopo 13 anni il tanto vagheggiato sogno di avere una casa si realizzerà. Bisogna solo che arrivino le chiavi. Chiavi che però non arrivano mai. E così l’assegnazione rimane soltanto sulla carta. Il 31 dicembre 2021, poi, all’età di 93 anni la signora Ghidei muore. Trascorrono i mesi, ma ancora delle chiavi non c’è traccia. Qualcosa in realtà a settembre arriva: la lettera di sfratto dal centro di accoglienza per la nipote Yergalem e la pronipote. D’altronde, essendo assegnatarie di una casa, non hanno più diritto di restare nell’alloggio temporaneo di via Farnia. Logica inoppugnabile. Peccato solo che la casa definitiva non ci sia ancora. In mezzo ci si mette pure il caso dell’Isee della signora Yergalem, 42 anni, nata ad Assab in Etiopia: avrebbe sforato di 500 euro la soglia dei 18mila euro, il limite massimo che consente la permanenza in un centro di accoglienza. Anche qui ripiombiamo nella trama di un racconto kafkiano, perché Yergalem spiega che quei 500 euro non li ha proprio visti: fanno parte della liquidazione che però, guarda caso, non le è ancora stata pagata.

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Qualcuno si è preso carico del caso della signora Ghidei, ormai passato alla nipote Yergalem: è il sindacato Asia Usb, che ha preso carta e penna per scrivere all’assessore comunale Tobia Zevi: “Ci chiediamo cosa abbia portato al verificarsi di un simile ritardo e quali uffici avrebbero dovuto assicurare la consegna dell’alloggio in questione al nucleo famigliare titolare di regolare assegnazione e come sia potuto accadere che si sia accumulato un tale ritardo”. Sono trascorsi quasi 4 anni dalla regolare assegnazione, intanto la signora Ghidei è deceduta, l’abitazione ancora non è stata consegnata e la nipote, che era parte del nucleo famigliare, è stata costretta ad allontanarsi dal centro d’accoglienza perché sulla carta si ritrova a essere assegnataria di una casa che però non ha ancora ricevuto. Così il sindacato si rivolge non soltanto all’assessore Zevi, ma anche all’Ater in quanto proprietaria della casa: chi gestisce le assegnazioni infatti è il Comune. “Chiediamo agli uffici del Comune e dell’Ater di Roma di verificare celermente la disponibilità dell’alloggio e consegnarlo al nucleo assegnatario”, afferma il sindacato.

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