Davigo rinviato a giudizio nel giorno dei trent’anni dall’inchiesta Mani Pulite

L’ex consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura è sotto accusa per rivelazione di segreto d’ufficio nell’ambito della vicenda dei verbali di Piero Amara sulla presunta “Loggia Ungheria”

Piercamillo Davigo-meteoweek.com

L’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo, finito sotto accusa per rivelazione di segreto d’ufficio nell’ambito della vicenda dei verbali di Piero Amara sull’esistenza di una presunta “Loggia Ungheria“, andrà a processo come deciso dal gup di Brescia, Federica Brugnara. Si tratta di una decisione che giunge nel giorno in cui ricorre il trentennale dall’inizio dell’inchiesta Tangetopoli, e in cui Davigo era nel team di magistrati che all’epoca si occuparono della vicenda.

Intanto la difesa del pm di Milano, Paolo Storari, ha spiegato che il il suddetto giudice, nel consegnare i verbali di Amara a Davigo  con l’obiettivo di essere tutelato poiché biasimava l’inerzia dei vertici del suo studio, ha avuto una “condotta legittima“. Questa è stata l’arringa difensiva del legale di Storari, che ha chiesto al gup di assolvere il magistrato imputato per rivelazione di segreto d’ufficio nell’ambito del processo abbreviato.

L’avvocato di Storari, Paolo Della Sala, ha spiegato, inoltre, che Storari ha agito dopo aver ottenuto da «importanti esponenti del Consiglio Superiore della Magistratura» la conferma della correttezza della sua azione, tra l’altro “compatibile” con le circolari del Consiglio Superiore di Magistratura. Si tratterebbe, secondo il difensore, di un’azione che “poi ha trovato il suo avallo nei comportamenti di altre persone” che sono a Palazzo dei Marescialli e  “nessuna ha sollevato obiezioni formali” al modo in cui è stata eseguita la richiesta di essere tutelato.

La difesa di Davigo

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Durante il processo, Davigo rimetterà in campo la sua linea difensiva, già esposta durante le audizioni a Brescia.

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Secondo l’ex pm, il modo in cui ha informato i vertici di quanto stava succedendo alla procura di Milano ha rispettato le circolari del Csm. Tuttavia, Davigo precisa che «se io ho commesso il delitto di rivelazione di segreto d’ufficio, allora loro (cioè i vertici del Csm e della Procura generale di Cassazione, ndr) avrebbero dovuto denunciarmi», considerato che «l’omessa denuncia di reato da parte di un pubblico ufficiale è reato», quindi «dovrebbero essere incriminati per omissione d’atti d’ufficio», ma «a nessuno di loro venne in mente di doverlo fare perché nessuno di loro pensò che il mio fosse un reato».

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In merito, poi, alla distruzione dei verbali di cui ha parlato il vicepresidente del Csm Ermini:«Bravo… complimenti… Ermini evidentemente non è precisamente un cuor di leone: se io avessi commesso un reato, quella era la prova del reato, dovevi trasmetterla all’autorità giudiziaria, se no è favoreggiamento personale».

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