La terribile vicenda di Maria Teresa Novara, tredicenne rapita e tenuta chiusa in una botola a Canale dove venne torturata e fatta prostituire. Quando l’inferno ha il volto dell’omertà, del pregiudizio e dell’ignoranza. Questo è stato per la piccola Maria Teresa, dimenticata dal mondo, dagli affetti, il cui nome è stato infangato e la sua dignità calpestata.
Maria Teresa, non solo abusata e violata, ma distrutta nella dignità. Un caso il suo che risale agli anni Sessanta, quando la colpevolizzazione della vittima era all’ordine del giorno, non che ad oggi vi siano stati grandi progressi. Come quanto avvenuto con Alessandra Zorzin, 21enne, uccisa da quello che si è ipotizzato essere un amante geloso, ma madre e moglie e quindi meritevole di processo da parte del popolo, in cerca della gogna.
Maria Teresa Novara era una ragazzina di 13 anni. I suoi genitori, Mario e Angela, si erano messi d’accordo con i cugini per far ospitare la ragazzina nella loro cascina di Villafranca d’Asti, per poter consentire a Maria Teresa di raggiungere la scuola in tempi più brevi. Due malviventi, Bartolomeo Calleri e Luciano Rosso, convinti che il fattore tenesse in quella cascina del denaro, decisero, nella notte tra il 15 ed il 16 dicembre 1968, di tentare un furto proprio nel ‘rifugio’ della ragazza che lì si trovava addormentata. Convinti che questa fosse la figlia del fattore, la rapirono. La discesa nell’inferno per la piccola, ebbe inizio quella terribile notte.
L’inferno di Maria Teresa
Il capo banda, Calleri, decise di non chiedere alcun riscatto ma di ‘usare’ Maria Teresa per i suoi infimi scopi. Mise la bimba a Canale, un paese vicino ad Alba, in una cascina di sua proprietà. Quando si allontanava per compiere i suoi crimini, la 13enne veniva nascosta in una botola, altrimenti la portavano in un locale destinato a casa d’appuntamenti. Tutti sapevano. L’omertà generale complicò ulteriormente la faccenda poiché grazie a questa, alcuni aspetti della vicenda non vennero mai alla luce e vennero invece a galla diverse versioni: festini, prostitute, gente facoltosa che accorreva dai dintorni, perfino da Torino.
Da quello che si riuscì a ricostruire, Maria Teresa venne sfruttata per mesi, stordita con dei fermaci, data per soldi a uomini che abusavano di lei e tenuta legata ad una catena. Quando venne trovata cadavere, era ancora truccata, come una bambola di porcellana, distrutta nella sua dignità. Aveva con sé la pagina di un fumetto che i suoi carcerieri le avevano fornito come ‘distrazione’ e su cui Maria Teresa aveva scritto: «Sono Maria Teresa Novara e voglio tornare dai miei genitori».
Maria Teresa a casa non tornò mai. Spirò lì, prigioniera, incatenata, torturata e terrorizzata. Vittima della brutalità e del silenzio della gente. Calleri e Rosso, vennero rincorsi dai carabinieri a seguito di un furto il 5 luglio 1969, si tuffarono nel Po e Calleri morì annegato. L’altro si salvò ma non parlò mai del suo complice che venne identificato solo a seguito del ritrovamento del cadavere. Questa serie di eventi disgraziati contribuì a tardare l’ispezione nella cascina maledetta, in cui in realtà l’obiettivo non era certo trovare Maria Teresa, no, lei non la cercava nessuno. Refurtiva, questo volevano recuperare gli investigatori dell’epoca. A causa di questioni burocratiche, di firma sul mandato, la perquisizione venne ulteriormente rimandata, poi il 13 agosto, venne trovata, per caso, l’entrata di un tugurio sotterraneo. Dentro, il corpo di Maria Teresa Novara, morta da non più di ventiquattr’ore secondo l’esame necroscopico.
Non essendo più possibile processare Calleri, la procura si concentrò su Rosso e provò la sua responsabilità solo per «sottrazione a scopo di libidine», il malvivente negò naturalmente qualsiasi coinvolgimento nella vicenda di Maria Teresa. Durante le indagini, emersero molti dettagli terribili, come la presenza di una lettera anonima, ma nessuno si mosse per cercare la 13enne, che venne abbandonata alla prigionia e alle sue atroci sofferenze. Come se tutto questo non bastasse, la stampa mise un fiocco nero su tutto l’orrore vissuto dalla povera ragazza, e scrisse ipotizzando che in realtà la 13enne si fosse allontanata in modo volontario e che si fosse prostituita perché, in fondo, non era una ragazza perbene.
Giustizia per Maria Teresa
Il procuratore Laura Deodato, nel 2019 tentò di restituire un po’ di giustizia a Maria Teresa, rileggendo il fascicolo della indagini e del processo. Parlò inoltre con un vicino di casa di Calleri, un uomo ormai anziano che all’epoca era stato arrestato, processato e assolto, perché sospettato di favoreggiamento. Risentì anche il procuratore Mario Bozzola, che all’epoca indagò per mesi e con il professor Baima Bollone, il giovane medico legale che dovette effettuare l’autopsia sul povero corpicino di Maria Teresa. Per l’unico reato non caduto in prescrizione, l’omicidio della ragazza, non vennero trovati elementi sufficienti per identificare altri responsabili.
Turismo del macabro
Andando indietro nel tempo, mettendo mano alle cronache dell’epoca, si legge che, a seguito della tragedia per mesi fluirono i pellegrini del macabro, sul luogo dove Maria Teresa era stata tenuta prigioniera. Andarono a vedere la botola, sui prati circostanti con venditori di panini e bibite. Quando per Maria Teresa ormai era troppo tardi, allora si’ che la gente si mosse a mandrie, ma non per salvarla, no, quello no. Per respirare l’orrore, di cui si erano resi complici. E se fosse accaduto ora, ci sarebbe scappato anche un ‘selfie’.