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Economia

Opec taglia la produzione di petrolio: ecco perché il prezzo tornerà ad aumentare

Un taglio alla produzione di petrolio: lo ha deciso l’Opec+, l’organizzazione dei paesi esportatori che comprende, tra gli altri, Arabia Saudita, Emirati e Kuwait.

Insieme ai suoi alleati ha ridotto di 100 mila barili al giorno la produzione di settembre, una cifra sei volte inferiore a quanto deciso in precedenza.

Riunito in videoconferenza, l’Opec+ lascia la porta aperta a ulteriori discussioni (“per rispondere se necessario agli sviluppi del mercato”) prima della riunione successiva, fissata per il 5 ottobre. Dopo la notizia del taglio della produzione di petrolio, i prezzi dei due benchmark del greggio sono aumentati quasi del 4%. Il Brent del Mare del Nord è salito a 96,70 dollari al barile, mentre il Wti è arrivato a 90,05 dollari

Il cartello dei Paesi produttori di petrolio aveva tagliato la produzione nel 2020, all’apogeo della crisi sanitaria, per invertire la tendenza al calo dei prezzi. Lo scorso anno aveva ripreso ad aumentarli. Gli Usa avevano insistito per un aumento della produzione. Per abbassare i prezzi dell’energia che hanno fatto schizzare l’inflazione a livelli elevatissimi, col pericolo di causare una recessione nelle principali economie mondiali.

Dieci giorni fa il ministro dell’Energia saudita, Abdelaziz ben Salman, aveva ventilato l’ipotesi di un taglio, nel parlare di un mercato “precipitato in un circolo vizioso di bassa liquidità e volatilità estrema”. A marzo il prezzo del petrolio ha sfiorato quasi i 140 dollari al barile dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Poi ha cominciato a calare a cause delle paure della recessione, per le restrizioni anti Covid in Cina e la possibile intesa sul nucleare con l’Iran.

Perché l’Opec ha tagliato la produzione

Dal mese di marzo Brent e Wti sono scesi sotto i 100 dollari, alimentando la speculazione. A quel punto l’Opec+ che avrebbe iniziato a pensare al taglio della produzione per fermare il calo dei prezzi. Il cartello economico “vuole chiaramente mantenere i prezzi elevati” per ottenere guadagni redditizi, spiega Craig Erlam, analista di Oanda. I produttori potrebbero inoltre, aggiunge Erlam, “temere che il ritorno del greggio iraniano sul mercato possa far pendere gli equilibri a favore dell’offerta e quindi dei prezzi più bassi”.

Le possibilità di un accordo con Teheran, unito a un allentamento delle sanzioni Usa in particolare sul fronte petrolifero, sono di nuovo in salita, anche se giovedì Washington ha fatto sapere che l’ultima risposta iraniana una bozza Ue è stata “purtroppo non costruttiva”. Mentre Amena Bakr, analista di Energy Intelligence, spiega che le dichiarazioni del ministro dell’Energia saudita devono essere interpretate nel senso che “la volatilità è dannosa per il mercato”.

Il rischio di una nuova impennata dei prezzi

“È un messaggio per tutti i governi occidentali che sono intervenuti nel mercato e hanno cercato di gestirlo” dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Intanto, in questi mesi, gli Usa e altri paesi hanno liberato petrolio dalle loro riserve strategiche per tentare di arginare la crescita dei prezzi.

Venerdì il G7, per tentare di bloccare le fonti di finanziamento della guerra della Russia, ha concordato sulla necessità di muoversi “urgentemente” verso il tetto massimo al prezzo del petrolio russo. Il Cremlino, da parte sua, ha ammonito: non venderà più petrolio ai Paesi che adottano il tetto. L’offerta di petrolio sul mercato potrebbe dunque assistere a una ulteriore riduzione. Col risultato di una nuova impennata dei prezzi. Prezzi che, malgrado il recente calo, restano storicamente elevati oltre che caratterizzata da una estrema volatilità.

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