Falso vino Doc, cinque arresti | Perquisizioni in diverse regioni italiane

La scoperta degli inquirenti: veniva venduto come vino pregiato, ma in realtà era falso e non certificato biologicamente. L’operazione di carabinieri e guardia di finanza ha portato all’arresto di cinque persone. Nelle ore successive, raffica di perquisizioni in ben cinque regioni del Nord Italia

Cinque persone sono state arrestate nel corso di un’operazione di carabinieri e guardia di finanza, che hanno fermato una vera e propria organizzazione intenta a produrre falso vino spacciato per prodotto doc. Un’inchiesta, coordinata dalla procura di Pavia, decisiva per cinque arrestati e due costretti all’obbligo di firma, vertici di una cantina oltrepadana. Secondo l’accusa, con la complicità di enologi di fiducia avrebbero messo in commercio vino contraffatto per quantità, qualità e origine attraverso un sofisticato sistema di alterazione. In realtà era prodotto con uve non certificate come biologiche o addizionate con aromi e anidride carbonica.

Le accuse contestate a vario titolo nei loro confronti sono diverse. Associazione per delinquere finalizzata alla frode in commercio e contraffazione di indicazioni geografiche o denominazione di origine di prodotti alimentari. Le sette misure complessive non riguardano soltanto la provincia di Pavia, bensì anche Cremona, Asti, Piacenza, Verona e Trento. Gli investigatori non si sono fermati nelle ore successive, facendo partire una raffica di perquisizioni in cinque regioni del Nord Italia per sradicare immediatamente eventuali ‘collaborazioni’ in diverse zone del territorio. Le perquisizioni sono avvenute in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige.

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Le mosse degli inquirenti durante le indagini

Le indagini, coordinate dalla Procura di Pavia e delegate ai carabinieri (5 misure cautelari) e alla Finanza (2 misure cautelari), erano iniziate già dal settembre 2018. Nel mirino erano finite le presunte attività illecite, finalizzate alla contraffazione di prodotti vinicoli. Queste erano avvenute durante la vendemmia e la prima lavorazione dei mosti di quell’anno presso la Cantina Sociale di Canneto Pavese. Fu nella fattispecie rilevato un consistente ammanco, ovvero una sostanziale differenza tra la quantità fisica di vino presente nei vari vasi vinari e la quantità commerciale riportata nei registri, che era decisamente superiore. Un ammanco per un valore medio di 0,85 euro/litro equivale ad un valore economico di circa un milione di euro.

Venivano in sostanza falsate le bolle di consegna delle uve, grazie ad agricoltori compiacenti (sui quali indagano i carabinieri), per poi essere venduti come Doc, Igt o Bio. Ma i prodotti in questione, in realtà, non avevano le caratteristiche richieste per tali etichettature. Scoperto inoltre un ulteriore dettaglio che doveva ingannare il consumatore di vino. Ai prodotti venivano aggiunti aromi vietati nella produzione vinicola, al fine di imitare sapori e profumi dell’Oltrepò.

Un caso molto simile a quello registrato soltanto sei anni fa. Nel 2014, infatti, un’altra inchiesta aveva coinvolto altri produttori vinicoli dell’Oltrepò pavese. In quel frangente furono accusati di aver prodotto Pinot Grigio senza rispettare i canoni dei marchi Doc e Igt.

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