La Dolce Vita | compie 60 anni il film di Fellini che trovò casa in America

Il 2020 è un anno doppiamente importante per Federico Fellini: non solo ricorre il centenario della sua nascita, ma anche il suo film più famoso, La Dolce Vita, compie 60 anni.

Il capolavoro di Federico Fellini fu un grande successo non solo in Italia, ma anche in America, dove i film provenienti dall’Europa stavano pian piano guadagnando terreno, con un numero sempre più elevato di sale disponibili a proiettarli.

La Dolce Vita, un successo americano

Proprio in quegli anni, infatti, il pubblico americano stava imparando a conoscere filmografie provenienti da altri continenti. Tra i registi più apprezzati, in quel momento, Bergman, Kurosawa e Godard: i loro film erano infatti vere e proprie finestre su nazioni lontane. Perciò proprio “l’italianità” marcata del cinema felliniano, il suo essere indissolubilmente legato alla propria città e alla propria tradizione, costituirono forse l’elemento principale di interesse che garantì un tale successo di pubblico in America. Così il film, già vincitore della Palma d’oro al 13esimo Festival di Cannes, ottenne anche l’Oscar per i costumi. A colpire il pubblico statunitense furono certamente le invenzioni visive (come quelle con il proiettore, un modo di fare cinema per loro nuovo e ancora da scoprire) ma soprattutto Marcello Mastroianni, che rappresentava il modello dell’uomo europeo ammirato dagli americani, con i suoi occhiali da sole e il vestito su misura. 

La ricchezza come aspirazione

Fu quindi proprio questo aspetto “esotico” del film a catturare gli spettatori stranieri, che invece trovavano difficile comprendere fino in fondo i turbamenti del protagonista, scisso fra la promessa del sacro (matrimonio, famiglia e religione) e i desideri del profano (sesso, ricchezza, lusso). Il personaggio fa la sua prima comparsa nel film letteralmente deviando dal percorso di Cristo: inseguendo con lo sguardo alcune donne che stanno prendendo il sole anziché seguire la traiettoria dell’aereo trasportante una statua del Messia. Per il resto, la “fauna” in cui si muove Fellini è del tutto italiana. La borghesia in America, infatti, era (ed è) molto diversa da quella rappresentata ne La Dolce Vita, fattore che rendeva difficile l’immedesimazione e il coinvolgimento. Quella idea di “ricchezza” e “agiatezza” accompagnata da altrettanta classe e raffinatezza (ma anche dall’assoluta inutilità delle virtù) stava per essere spazzata via in America già dalla fine degli anni ’60, prima che il modello economico di Reagan imponesse definitivamente una nuova elite dominante molto lontana dall’idealizzazione stilistica felliniana. 

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Arte e commercio

Nel cinema contemporaneo, infatti, la ricchezza è quasi sempre un elemento di deterioramento, che caratterizza in negativo un personaggio piuttosto che conferirgli carisma. Anche il desiderio di ricchezza, quando muove i personaggi cinematografici, è quasi sempre determinato da avidità e ambizioni smisurate, piuttosto che da una vecchia e nostalgica idea di romanticismo. Persino le istituzioni regali, come assistiamo in questi giorni, sembrano non avere più la stessa importanza di prima (non solo a livello politico, ma anche in termini di prestigio). Le più antiche famiglie nobiliari d’America non sono più oggetto d’invidia sociale, ma piuttosto interpretate come emblemi di un declino inesorabile. Quella di Marcello Rubini nel film è una crisi di integrità, prima di ogni cosa. Una eterna lotta tra la necessità del commercio e l’aspirazione dell’arte. Ed è forse proprio questo continuo inseguimento tra arte e industria l’elemento più attuale de La Dolce Vita. Quello che ancora oggi può risultare attuale anche per il pubblico (e il cinema) americano.

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