Lontano Lontano | la recensione della commedia di Gianni Di Gregorio

Lontano Lontano, la nuova commedia diretta da Gianni Di Gregorio, sarà al cinema dal prossimo 20 febbraio. 

Ecco la nostra recensione del film con Ennio Fantastichini, Giorgio Colangeli e naturalmente Gianni Di Gregorio (in veste come al solito di protagonista e regista)

Lontano Lontano, il nuovo film di Gianni Di Gregorio

Il cinema di Gianni Di Gregorio, pur trattando temi molto cari alla cinematografia italiana e ad altri suoi colleghi, sembra essere più vicino a quello spagnolo o argentino dal punto di vista della messa in scena, sempre minimale e molto asciutta, che non punta sui virtuosismi ma invece fa della propria essenzialità un punto di forza da rivendicare. Così anche Lontano Lontano è un cinema di terza età ironico come quello di Gastón Duprat e Mariano Cohn (anche se molto meno dissacrante rispetto alla causticità di film come Il Cittadino Illustre o Il Mio Capolavoro). Rispetto però al cinema dei due argentini, che si regge moltissimo sulla recitazione ma che trova il suo senso profondo nelle invenzioni umoristiche sempre spiazzanti, i film di Di Gregorio sembrano fare troppo spesso esclusivo affidamento sulla bravura dei suoi interpreti.

Gli attori

In questo caso il trio di pensionati composto da Ennio Fantastichini (alla sua ultima interpretazione cinematografica prima della dolorosa perdita), Giorgio Colangeli e naturalmente da Gianni Di Gregorio stesso, funziona benissimo: i loro tempi sono perfetti e l’amicizia (storica fra “il professore” e Giorgetto, nuova tra i due e il tuttofare Attilio, che si arrangia restaurando mobili antichi) fra loro è cristallizzata in una naturalezza che mai sembra avere l’artificiosità del cinema. Eppure se film come quelli di Duprat e Cohn mettono in scena la miseria umana, rivelando alla fine i personaggi per quello che sono, cioè gente meschina e riprovevole, i film di Gianni Di Gregorio, in questo senso più tradizionalmente italiani, ricercano la tenerezza e la possibilità di cambiamento.

C’è una scena apparentemente superflua in Lontano Lontano che invece spiega un po’ il senso di tutta la filmografia di Di Gregorio: Giorgetto che spende centinaia di euro in gratta e vinci nella speranza di “svoltare” e poter finalmente vivere una pensione dignitosa restando in Italia (quindi senza la necessità di compiere quel viaggio verso le Azzorre che tanto lo spaventa). Dopo aver grattato tutti i “milionari” a sua disposizione, Giorgetto vince, lì dove invece un altro regista lo avrebbe fatto perdere per mostrare moralisticamente lo sbaglio compiuto dal personaggio. Invece per Di Gregorio la vittoria (o il successo, per quanto modesto) può essere raggiunta anche attraverso metodi moralmente discutibili. E anche godere degli inutili traguardi della propria vita, quelli che si sa già che non porteranno alcun reale miglioramento della propria condizione, è utile a star bene con se stessi. Si celebra il superfluo per sopportare tutto il resto.

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La ricerca della tenerezza

Pur realizzando un film apparentemente molto semplice e lineare, Di Gregorio dimostra un’abilità assolutamente non scontata nell’arrivare al lieto fine, quello in cui trionfano i buoni sentimenti, come se quella conclusione fosse la svolta ovvia e naturale della narrazione (e non invece una chiosa imposta dalla necessità di dover veicolare un messaggio positivo). Per raccontare la reticenza dei suoi personaggi a lasciare l’Italia per andare in qualche Paese con la tassazione più favorevole nei confronti dei pensionati, Di Gregorio fa camminare il suo film sui sampietrini di Trastevere. Tutta la narrazione si svolge lì e ogni viaggio oltre Porta Settimiana sembra una grande Odissea verso territori ignoti.

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