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Cronaca

Coronavirus, “Noi denunceremo”: una pagina Facebook raccoglie le adesioni di quelli lasciati indietro

Oltre 27mila adesioni in pochi giorni che aumentano di quasi un migliaio di iscritti al giorno, sono quanti hanno perso amici o parenti e non si accontentano del cordoglio e delle garanzie.

(Photo AHMAD AL-RUBAYE/AFP via Getty Images)

Ci sarà tempo: ma non troppo

Si fa presto a dire “ci sarà tempo per chiarire, ci sarà il momento delle responsabilità”. Ma per chi ha perso un familiare senza nemmeno avergli detto addio queste sono le settimane peggiori. Sono i giorni della consapevolezza, quelli in cui capisci che ci sono cose che sono state sottovalutate, altre che non sono state dette, altre che sono passate sottotraccia. E anche se è molto più il rispetto per chi continua a morire di coronavirus, c’è da registrare la protesta che monta da parte di chi un lutto l’ha già avuto.

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“Noi denunceremo”

La reazione come si poteva immaginare è diventata social e si intitola “noi denunceremo” (questo il collegamento diretto alla pagina). Al momento questa pagina ufficiale nata in pochi giorni raccoglie circa 27mila adesioni che aumentano a ritmo considerevole di giorno in giorno. All’interno c’è chi ha perso i genitori o un fratello: tutti piangono una storia diversa e un dramma più grande di loro. E soprattutto non dimenticano, restano in contatto e si documentano.

Malasanità ma non solo

Molti parlano di casi di banale malasanità: mancanza di accortezza o di strutture in un momento che per la verità ha investito un paese in modo mostruoso, un paese che dovrebbe farsi altre domande, sui tagli alla spesa per la sanità, sui posti letto e di rianimazione che mancano e su un piano pandemia vecchio di vent’anni ma mai messo in pratica. Ma c’è anche chi denuncia l’atteggiamento irresponsabile di aziende che hanno continuato a lavorare senza alcun dispositivo di protezione fino a quando il contagio è diventato letale.

L’esigenza di chiarire

“Nasciamo – scrivono gli amministratori – per un bisogno di giustizia e di verità per dare pace ai nostri morti che non hanno nemmeno potuto avere una degna sepoltura. Quando tutto sarà finito chi ha sbagliato e girato la testa dall’altra parte dovrà pagare. Denunceremo e chiederemo giustizia”. Al momento non è dato sapere ma le cause di lavoro intentate da persone che avrebbero dovuto essere a casa e sono state contagiate proprio sul posto di lavoro sono già migliaia.

Tante storie diverse

Uno degli amministratori è Luca Fusco, un giovane che scrive di avere perso il nonno Antonio una ventina di giorni fa: “Gli ho fatto una promessa – dice adesso – che non mi sarei fermato finché non avrei avuto risposte e giustizia sulla sua morte. Lui per me ha fatto tutto, non posso deluderlo”.  Le storie sono moltissime: c’è chi come May Sugar denuncia che il tampone post mortem è stato eseguito su suo padre, deceduto di coronavirus, cinque giorni dopo il decesso. O chi piange la madre, che ha atteso in corsia nel pronto soccorso per un giorno intero, forse infettando altra gente, quando la polmonite era già diventata mortale.

Le case di riposo

C’è il caso delle case di riposo dove le persone sono semplicemente morte senza neppure che si sia tentato di salvarle: accompagnate in silenzio e solitudine in una stanza in attesa dell’inevitabile perché il trasporto sarebbe stato rischioso per altre persone e probabilmente inutile. È una pagina, come scrive qualcuno nei commenti, che testimonia quanti in Italia in questa strage sono stati lasciati indietro.

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(Photo by Ethan Miller/Getty Images for ACM)

Nessuno ce l’ha con i medici

Una cosa viene sottolineata con grande forza da tutti gli iscritti e dai migliaia che postano video e commenti: “Qui nessuno ce l’ha con medici, infermieri, personale e volontari, qui chi deve pagare sta più in alto e per anni si è riempito le tasche con la politica e la sanità – scrive un utente – e ora deve avere molti, molti morti sulla propria coscienza”.

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