Alberto Angela, dramma che fa ancora paura: “Ho rischiato di morire”

Alberto Angela figlio del noto divulgatore scientifico Piero Angela e di Margherita Pastore,è diventato uno dei volti noti della televisione italiana. Ha raccontato un terribile episodio legato al suo passato. 

Alberto Angela idolo nazionale

Alberto Angela ha letteralmente conquistato il cuore di un intero paese. Il divulgatore scientifico, seguendo le orme di papà Piero, è diventato non solo uno stimato professionista di fama mondiale ma anche uomo di spettacolo apprezzato da ogni generazione e da ogni sesso. In questi giorni di quarantena si è visto indicare molti messaggi di conforto nei confronti degli italiani incitando la gente ad attenersi ai decreti.

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Tra i momenti più toccanti che ricorderemo, quando l’incubo coronavirus cesserà, resterà un messaggio che rimarrà nella storia della televisione. Alberto Angela aveva pensato di omaggiare un paese intero prima dell’inizio del programma “Stanotte a Venezia”. Il divulgatore scientifico prima dell’inizio del programma era andato in onda pubblicando un video di ringraziamento dai toni “toccanti”. Questo uno dei passaggi chave: Non avrei mai pensato di vedere un nuovo volto, unico, del nostro Paese prendere forma davanti ai miei occhi. Non si tratta di un monumento, ma di una azione collettiva. Tutto accade grazie a voi»

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Un ricordo che fa male 

A distanza di moltissimi anni, 28 per l’esattezza, il divulgatore ha recentemente raccontato un triste episodio che lo ha visto protagonista di una terrible avventura. Durante la registrazione di uno dei suoi programmi ha raccontato che nel 1991 è stato vittima di un’imboscata insieme a tutta la troupe intenta a realizzare un importante servizio sui fossili di uomini preistorici tra L’Algeria e il Niger.

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Di quella terribile disavventura Alberto Angela ne ha così parlato: “Sono state 15 ore terribili, da condannati a morte. Siamo stati tutti percossi, minacciati e poi derubati di tutto: attrezzature, soldi, fedi nuziali, orologi, cellulari, bagagli.Eravamo su un percorso ben noto, che ci era stato assicurato tranquillo frequentato fino al giorno prima da turisti, tra l’ Algeria e il Niger; appena in territorio nigerino, dopo una cinquantina di chilometri in pieno deserto, si è materializzato un veicolo velocissimo da cui sono scesi tre individui, con turbante e occhiali da sole, kalashnikov e pistole alla mano, intimandoci di arrestarci.

Sono seguite 15 ore di terrore allo stato puro: sotto tiro, calci nel costato, pugni alla tempia, schiaffi a mano aperta per sfondarti i timpani, interrogatori con urla e violenze psicologiche, uno alla volta, senza capire cosa volessero. Prima ci chiedevano hashish, poi alcol, soldi, se fossimo spie. Giocavano con noi terrorizzandoci senza un chiaro obiettivo, nè una logica. Cercavamo di farci coraggio”.

Il sequestro è durato per fortuna solo una notte e il giorno seguente tutti sono stati rilasciati ma derubati dei propri averi.  

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