Pakistan e discriminazione: cristiani costretti a lavorare nelle fogne

In un’inchiesta portata in evidenza dai media americani, si scopre la triste vita che i cristiani sono costretti a condurre in Pakistan: più intoccabili degli intoccabili, possono lavorare solo nelle fogne, dove molto spesso perdono la vita.

pakistan cristiani fogne

In Pakistan, i discendenti degli indù appartenenti alla casta più bassa e convertiti al cristianesimo si trovano ancora emarginati, relegati a lavori sporchi e rifuggiti dagli altri abitanti della popolazione. Come gli addetti alla pulizia delle fogne.

I lavoranti nelle fogne sono visti come i peggiori appartenenti alla casta degli intoccabili, ed è per questo che soltanto i cristiani vengono assunti per questo genere di mansioni, con lo Stato che incoraggia apertamente questa gravosa discriminazione. Del resto, con l’’indipendenza del Paese nel 1947, ormai la discriminazione tra caste e individui segue i dettami della religione islamica, non più dell’induismo. Ed è per questo che nel 2020 si leggono annunci di lavoro dedicati, rivolti esclusivamente a coloro che appartengono al credo cristiano.

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Cristiani costretti a lavorare nelle fogne in Pakistan

Mary James Gill, un ex parlamentare, ha fatto pressioni per anni per far sì che il governo vietasse formalmente il lavoro di pulizia manuale delle acque reflue. Ma la maggior parte di coloro che si occupano di questo lavoro sono poveri e analfabeti, ed è per questo che le autorità riescono a convincerli ad accettare l’incarico, visto da loro come uno mezzo di sostentamento. Il punto è, però, che sebbene i cristiani rappresentino solo l’1,6% della popolazione pakistana (che conta circa 200 milioni di abitanti), l’80% di questi si occupa di lavori inerenti alla manutenzione delle fognature.

Jamshed Eric - foto via NYT
Jamshed Eric – foto via NYT

A riportare la storia di Eric e Michael, allora, è stato il New York Times. Una storia, la loro, che ha avuto una forte risonanza mediatica al di fuori dei confini nazionali del Pakistan dopo la recente ondata di morti che si è verificata tra i cristiani addetti alle pulizie dei liquami fognari. Del resto, si tratta di un lavoro che viene svolto senza alcun tipo di protezione: immergendosi nelle fogne senza abiti adeguati, senza guanti, senza alcun tipo di mascherina, i lavoranti tolgono a mani nude i liquami e gli ingorghi che bloccano le fognature. Respirando fumi tossici che per alcuni possono essere persino fatali.

“È un lavoro duro, nei canali di scolo sono circondato da colonie di scarafaggi”, spiega Eric ai giornalisti. “Quando la sera torno a casa e avvicino le mani alla bocca per mangiare, sento la puzza di liquame”. L’uomo, di 40 anni, si è fatto assumere per pulire le fogne della città portuale di Karachi, così da poter mantenere la sua famiglia. Ed è proprio la sua famiglia la sua prima preoccupazione. “Dopo aver appreso la notizia delle ultime morti, penso a cosa potrebbe accadere alla mia famiglia se a morire fossi io. Ma Gesù Cristo si prenderà cura di loro. Non mi interessa della mia vita finché posso garantire alla mia famiglia una vita dignitosa”, spiega Eric ai giornalisti.

Michael Sadiq - foto via NYT
Michael Sadiq – foto via NYT

Ma preoccupato e spaventato è anche Michael Sadiq: “Ho visto la morte da molto vicino”, confessa agli intervistatori. Ciò a cui si riferisce Michael è la morte di suo cugino, avvenuta a seguito di un intervento effettuato proprio nelle fognature. Il corpo dell’uomo è stato travolto da “un’ondata di acqua nera, putrida, che trasportava sabbia, pietre, fanghi”, accompagnata da gas tossici. Per Masih non c’è stato nulla da fare, nemmeno il tentativo di Michael è riuscito a salvargli la vita.

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Il corpo di Masih venne sepolto così in profondità, che un escavatore lavorò per quattro ore per estrarre il suo cadavere da quei fanghi nauseabondi che l’avevano sotterrato. “Questo lavoro è diventato così pericoloso che devo trovare una via d’uscita”, ha dichiarato Michael. Ma l’uomo è un cristiano povero e analfabeta: così, come anche a Eric, nessun altro lavoro gli è concesso di fare in Pakistan.

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