Giunte in Italia in barcone, giovani nigeriane costrette a prostituirsi con riti vudù

La squadra mobile di Venezia ha arrestato due donne coinvolte in un grave giro di prostituzione. Arrivate con i barconi e costrette a prostituirsi con riti vudù, è stata una delle giovani nigeriane a denunciare quel sistema criminale.

venezia prostituzione
Venezia prostituzione – foto di repertorio

Smantellato a Venezia un giro di prostituzione fatto di giovanissime nigeriane minacciate dai loro aguzzini. Due le donne, loro connazionali, arrestate dalla squadra mobile. Un’operazione, questa, coordinata dalla pm Tonini, della direzione distrettuale antimafia, che vede le “maman” (una cinquantenne e una quarantenne) gestire per anni un traffico di ragazze fatte arrivare dalla Nigeria per poi costringerle a vendere il proprio corpo in strada. Altre dieci le persone indagate nell’ambito dell’inchiesta sul traffico e lo sfruttamento della prostituzione con fulcro a Mestre.

Venezia, giovani nigeriane costrette alla prostituzione

Secondo quanto si apprende dalle fonti locali, l’operazione portata a termine dalla squadra mobile di Venezia ha portato alla luce un giro di sfruttamento e violenza (fisica ma anche psicologica) di tante giovani ragazze nigeriane, adescate nel loro Paese con la promessa di un futuro migliore. Arrivate in Italia con i barconi carichi di immigrati, dalla Sicilia le ragazze venivano portate dapprima a Napoli, poi infine a Mestre, con un debito di 25mila euro da ripagare agli aguzzini a seguito della loro “liberazione”.

Un giro che andava avanti dal 2018, e che conta 15 giovani nigeriane di età compresa tra i 18 e i 23 anni. Le ragazze erano costrette perciò a prostituirsi in strada, per somme tra i 30 e i 50 euro, tra le zone di via Piave e via Dante. Sarebbe stata una delle giovani sfruttate a raccontare tutto alle autorità, durante l’ultimo dei controlli effettuati sul territorio.

Venezia smantellato giro di prostituzione
foto di repertorio

La nigerina avrebbe confessato di essere vittima di un sistema criminale e umiliante, che è stato poi verificato dalle forze dell’ordine durante le indagini. Oltre al debito da 25mila euro che pendeva sulla loro testa, le giovani erano costrette a pagare ai loro aguzzini 200 euro a settimana, una cifra che comprendeva sia il posto sul marciapiede che l’alloggio in cui venivano rinchiuse.

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Non c’era possibilità di ribellione per le ragazze, che non avevano nemmeno la forza di denunciare la loro condizione alle autorità: la paura delle ritorsioni era troppo grande. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, anche e soprattutto dai racconti delle vittime, pare infatti che le due maman minacciassero le giovani con ridi vudù, lasciandole così in uno stato di grave soggezione psicologica. Ma il timore era anche quello che potesse accadere qualcosa di estremamente spiacevole alle loro famiglie rimaste in Africa.

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