Italia spaccata in due: profonde differenze tra Nord e Sud nella sanità

A riproporre il tema supportato da dati impietosi è anche Walter Ricciardi, docente di Igiene all’Università Cattolica di Roma e Direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni: “Chi nasce in Campania e in Sicilia ha una speranza di vita alla nascita fino a quattro anni inferiore rispetto a chi nasce in Trentino o nelle Marche”.

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(Foto di Tiziana Fabi, da Getty Images)

E’ tempo di piani, di ristrutturazione delle priorità dell’Italia, e anche di capire dove potrebbero andare le risorse del Recovery Fund. Così tornano all’attenzione le malattie classiche, fino ad ora incurabili, del Bel Paese: l’eccessiva burocratizzazione, l’imponente peso fiscale da un lato e la grande evasione fiscale dall’altro, l’istruzione e la sanità ridotte all’osso, la disoccupazione e molto altro. Torna all’attenzione pubblica e politica, allora, un altro grande tema troppo a lungo rimandato: il profondo divario tra Nord e Sud. A commentare la condizione dell’Italia sotto questo punto di vista è anche Walter Ricciardi, docente di Igiene all’Università Cattolica di Roma e Direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni, come riportato dal Messaggero. A che punto siamo arrivati nell’omogeneizzazione della qualità di vita tra regioni italiane? “Chi nasce in Campania e in Sicilia ha una speranza di vita alla nascita fino a quattro anni inferiore rispetto a chi nasce in Trentino o nelle Marche”. Non molto lontano, si direbbe.

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A sottolineare il gap profondo che spacca l’Italia in due è anche il manifesto Ricostruire l’Italia. Con il Sud. I 29 promotori evidenziano: malattie e fattori di rischio sono gli stessi tra Sud e Nord Italia. Le differenze emergono nelle disponibilità per prevenzione e cura, a discapito del Sud. I piani di rientro, i vincoli di bilancio e gli abbattimenti del deficit sarebbero dunque diventati veri e propri elementi attivi penalizzanti per la salute pubblica, al pari di fumo, alcol e obesità.

Servizio sanitario nazionale? Sì, ma molto dipende dalla regione

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(Foto di Ina Fassben, da Getty Images)

Le differenze tra Nord e Sud, stando ad alcuni dati, sarebbero sia percepite che reali. Partendo dalla percezione, a sottolineare la differenza è l’ultimo rapporto Istat, che spiega: “Le percezioni soggettive peggiori delle proprie condizioni sono prevalenti fra i residenti delle regioni del Mezzogiorno, in particolare Calabria e Sicilia, mentre in Trentino e in Toscana si concentrano quelle migliori. Anche in questo caso le Regioni con i più diffusi problemi di salute rientrano tra quelle sottoposte a piani di rientro e si posizionano, con l’eccezione del Lazio, nelle ultime posizioni della graduatoria”. Poi ancora: “E’ indubbio che “gli interventi messi in campo per ridurre il deficit, nel medio e lungo termine, limitano la capacità di assistere la popolazione in maniera adeguata”.

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Nel caso in cui si fosse in cerca di altri dati, arrivano quelli del nuovo sistema di verifica  valutazione dei Lea (Livelli essenziali di assistenza). Il nuovo sistema entra in vigore da quest’anno, e in programma c’è un cambio di passo. Infatti sono stati inseriti criteri più severi per valutare la qualità dei sistemi sanitari regionali. Il Comitato Lea del ministero della Salute è già andato in avanscoperta, proponendo una simulazione. Ebbene, solo 11 regioni supererebbero il test, con una larga prevalenza di regioni del Sud “bocciate”. Tra queste: Campania, Calabria, Molise, Basilicata, Sicilia, Sardegna. Questi dati però non sono esclusivamente descrittivi. Come sottolineato dal Messaggero, il superamento del giudizio del Comitato Lea comporta anche lo sblocco di fondi aggiuntivi. Una sorta di premio per i più virtuosi, pari al 3% del riparto del fondo sanitario al netto delle entrate. Insomma, i più bravi diventano ancora più bravi, gli altri (oltre ad un uso errato delle risorse) sono sottoposti anche a manovre di definanziamento. A sottolineare il gap è anche Giordano Beretta presidente dell’Associazione oncologi medici: “Sono ancora troppe le differenze nel nostro territorio dall’adesione alle cure alle coperture degli screening. (…) L’attivazione dei test sul tumore alla mammella in Lombardia è al 100 per cento e l’adesione delle donne, tra 50 e 69 anni, è pari al 60 per cento. Al Sud, invece, in alcune zone, l’attivazione è pari al 20 per cento. Risultato, nel primo caso 60 donne su cento sono protette mentre nel secondo solo 20 su cento”. In data 23 luglio il ministro della Salute Speranza ha annunciato a Radio24: “Sto lavorando ad grande piano su alcuni assi fondamentali, serve una cifra dai 20 miliardi in su se vogliamo fare un’azione vera e reale di cambiamento copernicano sul nostro sistema sanitario nazionale”. La speranza è che questo cambiamento copernicano non riguardi solo fondi a pioggia, ma una profonda modifica del sistema che, tra le altre cose, ha partecipato a questo divario.

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