Coronavirus, studio spiega il perché di forme più gravi in alcuni pazienti

La ricerca condotta dal Covid Human Genetic Effort (CovidHGE) sostiene: il 10% dei malati gravi, precedentemente sani, presenta anticorpi che attaccano il sistema immunitario al posto del virus. Il 3,5% presenta, invece, una mutazione genetica predisponente. 

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(Foto di Alain Jocard, da Getty Images)

Diversi possono essere i tipi di risposta al coronavirus, diverso lo spettro di manifestazione della malattia, che va da stati asintomatici alla necessità delle terapia intensiva. Diverse sono anche le cause per questi comportamenti eterogenei che, come ormai sappiamo, in genere dipendono dall’età e dalla presenza o meno di malattie pregresse. Eppure, uno studio del Covid Human Genetic Effort (CovidHGE) ora individuerebbe anche ulteriori elementi ricollegabili all’insorgenza di forme gravi di Covid-19. Tra questi, anticorpi che non si comportano nella maniera adeguata e mutazioni genetiche. Il CovidHGE è un consorzio internazionale formato da più di 50 centri di sequenziamento genetico e centinaia di ospedali, tra cui il Laboratorio di Genetica Medica dell’Università di Roma Tor Vergata, l’Istituto San Raffaele di Milano e l’ospedale Bambino Gesù di Roma. Secondo lo studio, tra le forme gravi di Covid-19 che non presentavano altre patologie pregresse, nel 10% dei casi si registrerebbe la presenza di anticorpi con comportamenti disfunzionali; nel 3,5% dei casi si assisterebbe invece a mutazioni genetiche.


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A collegare questi due fattori, un ulteriore elemento: la ridotta funzionalità dell’interferone di tipo I. L’interferone di tipo I è parte di una grande famiglia di proteine (le citochine) e gioca un ruolo fondamentale per il buon funzionamento del sistema immunitario. Jean Laurent Casanova, a capo del laboratorio di Genetica umana delle malattie infettive alla Rockefeller University di New York, spiega: “I risultati suggeriscono in modo convincente che disfunzioni dell’interferone di tipo I costituiscano spesso la causa delle forme più critiche di Covid-19. Almeno in teoria, si tratta di disfunzioni che possono essere trattate con farmaci e approcci già esistenti”.

Lo studio e le sue implicazioni

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(Foto di Juan Mabromata, da Getty Images)

A supporto della tesi, i dati dello studio, pubblicato in due articoli su Science. La ricerca avrebbe analizzato i tessuti biologici di 987 pazienti gravi. In alcuni di loro (10%) gli anticorpi avrebbero iniziato ad attaccare il sistema immunitario al posto del virus. In questo modo il sistema immunitario sarebbe stato disabilitato nella sua funzione: combattere l’infezione. I ricercatori sono del parere che gli anticorpi in grado di disabilitare la proteina fossero già presenti prima del contagio: costituirebbero, quindi, un fattore predisponente per le forme gravi. E sarebbero proprio gli anticorpi, in questo caso, a mettere fuori gioco l’interferone. Il 3,5% di questi pazienti, invece, presenta una mutazione genetica che provoca un abbassamento della produzione di interferone. Anche in questo caso, il sistema immunitario non riesce a reagire nella maniera adeguata.


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A spiegare le dinamiche, come riportato dal Corriere, Lorenzo Piemonti, direttore del Diabetes Research Institute del San Raffaele e professore associato di Endocrinologia all’Università Vita- Salute: “Riteniamo che gli auto-anticorpi contro l’interferone possano spiegare una parte rilevante delle forme più aggressive di Covid-19 e del modo in cui queste forme si distribuiscono nella popolazione generale, ovvero colpendo maggiormente le persone di sesso maschile e di età avanzata. Non a caso, tra i pazienti che presentavano gli auto-anticorpi, il 95 per cento era di sesso maschile e più del 50 per cento era over 65″. Ma quali potrebbero essere i risvolti di questa ricerca? A spiegarlo sarebbe Fabio Ciceri, vicedirettore scientifico del San Raffaele e professore ordinario di Ematologia all’Università Vita-Salute: “I due studi si rafforzano a vicenda e suggeriscono che intervenire per ristabilire le corrette quantità di interferone I nelle fasi iniziali dell’infezione potrebbe essere efficace contro le forme più severe di Covid-19, almeno in un gruppo selezionato di pazienti. Ed è proprio in questa direzione che va uno studio clinico in partenza nel nostro ospedale, che testerà la somministrazione di interferone beta nei pazienti Covid-19 gravi”.

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