Rula Jebreal: “Anche senza Trump, trumpismo e razzismo resteranno”

Joe Biden è sempre più vicino alla soglia dei 270 grandi elettori. Intervistata ad Atlantide su La7 Rula Jebreal, la scrittrice e giornalista palestinese, commenta: “Anche con la sconfitta di Donald Trump il trumpismo è ancora vivo negli Usa e l’abbiamo visto coi risultati del Senato. Ma anche il razzismo è ancora vivo e vegeto. C’è paura tra le persone di colore”.

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Proseguono gli spogli dei voti dei cittadini statunitensi. Nel frattempo si affastellano ipotesi di vittoria, previsioni su scenari futuri. Joe Biden, lo sfidante democratico di Trump, sembra al momento a un passo dalla vittoria. Attualmente ha 264 voti dei grandi elettori. I voti che gli aggiudicherebbero una volta per tutte la presidenza sono 270. Intanto è significativa l’avanzata di Biden in Georgia, dove il candidato democratico sta superando Trump proprio all’interno di uno Stato tradizionalmente repubblicano. Biden incassa voti anche in Pennsylvania, dove il distacco dal rivale si assottiglia sempre di più. A commentare il tutto dagli Stati Uniti è Rula Jebreal, scrittrice palestinese, che ospite ad Atlantide su La7 afferma: “Anche con la sconfitta di Donald Trump il trumpismo è ancora vivo negli Usa e l’abbiamo visto coi risultati del Senato. Ma anche il razzismo è ancora vivo e vegeto. C’è paura tra le persone di colore”.

“C’è un problema strutturale in questo Paese”

“C’è un problema strutturale in questo Paese di persone che si dicono per bene e che non vogliono essere chiamate razziste”. E’ questa la lapidaria opinione di Rula Jebreal. La scrittrice risponde a una considerazione del conduttore Andrea Purgatori: le posizioni di Trump e Biden nei confronti del razzismo americano sono rappresentative di due americhe completamente diverse. Come cambierà l’America? Ma Jebreal risponde: il trumpismo e il razzismo restano vivi, al di là dei rappresentanti politici. “Quello che è accaduto a Floyd, accadrà per secoli al di là di chi vinca”. Poi il ricordo del drammatico massacro per mano di un suprematista bianco, nella città di El Paso, nel 2019: “In quella vicenda ci finì anche un bambino piccolo, di due mesi. Trump chiese di andare in ospedale solo per farsi pubblicità. Il dato più inquietante è che ho sentito anche dai colleghi europei che sostengono in qualche modo che i neri che protestavano facevano paura agli altri”. Secondo Rula Jebreal l’America avrebbe avviato un processo di normalizzazione della violenza, in cui i suprematisti bianchi vengono chiamati “patrioti”, anche da parte di esponenti politici. Ed è questo ciò che fa veramente paura, al di là delle elezioni.


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L’America a ferro e fuoco

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(Da Getty Images)

Ne frattempo imperversano le proteste a Minneapolis, nel Minnesota, e a Boston, nel Massachusets, a Chicago, Filadelfia. Poi ancora a Portland, nell’Oregon e a Seattle e nelle grandi città californiane, come Los Angeles e San Diego. Centinaia le persone in piazza per chiedere di “contare ogni voto“, contro le recenti dichiarazioni del presidente Trump. Tutto il territorio Usa sembra assediato, nelle principali città, da scontri. Già prima dell’ufficiale proclamazione di un nuovo presidente. Particolare il caso di Portland, già al centro delle proteste dei Black Lives Matter nei mesi precedenti, dove l’ufficio dello sceriffo ha dichiarato lo stato di “rivolta”. I dimostranti avrebbero provocato danni alle vetrine di diversi esercizi commerciali, e questo è stato sufficiente per spingere la governatrice Kate Brown ad attivare il dispiegamento della Guardia nazionale. Sempre a Portland, due giorni fa un gruppo di manifestanti avrebbe bruciato la bandiera degli Stati Uniti. Il presidente ha comunicato la sua vittoria delle elezioni, nonostante l’annuncio arrivasse poco dopo la chiusura dei seggi. A quel punto la riunione dei manifestanti fuori dal tribunale della città, un’atmosfera di rivendicazione in cui gli slogan contro Trump si sono mischiati al tempo ritmato della musica hip hop. Arresti anche a Minneapolis, la città che a maggio ha risvegliato il dissenso dei Black Lives Matter a seguito dell’uccisione dell’afroamericano George Floyd. Lì centinaia di persone sono state arrestate: avevano partecipato a una marcia di protesta contro il presidente Donald Trump.


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Dall’altro lato, i sostenitori di Trump, anche loro in piazza. Poco prima che fosse rivelata la vittoria di Joe Biden in Michigan, a Detroit sono state decine le persone dirette al cuore di un centro di conteggio voti, al grido trumpiano di “fermate il conteggio“. Tante le persone raccolte fuori dal Tcf Center di Detroit e all’interno dell’atrio. A fronteggiarle, i poliziotti schierati per impedire l’accesso. Poi ancora tensioni anche nel centro di Phoenix, in Arizona. Insomma, la complessità della situazione Usa ormai sembra superare di gran lunga il mero calcolo numerico dei voti. Il peso delle parole del presidente Trump ha messo sotto stress l’intera democrazia americana – a dire il vero già traballante -, e ora è guerriglia per accaparrarsi il bottino, tra chi scende in piazza per difendere le elezioni e chi per ribaltarle.

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