Il Pd ci mette la faccia, il M5s raccoglie e Conte insiste. Ma la crisi resta lì

Ieri abbiamo evitato il salto nel buio di una crisi e abbiamo fatto bene. Ora dobbiamo agire su due fronti i problemi degli italiani e una prospettiva politica del governo“, dice il segretario del Pd Nicola Zingaretti a proposito del governo Conte II. Intanto il M5s si aggrappa a Conte, e il premier disegna geometrie parlamentari. Ma è un vicolo cieco?

Conte II - MeteoWeek.com (da Getty Images)

Ieri abbiamo evitato il salto nel buio di una crisi e abbiamo fatto bene. Ora dobbiamo agire su due fronti i problemi degli italiani e una prospettiva politica del governo“. Lo riferisce il segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti a Radio Immagine. Poi aggiunge di aver sentito il premier Conte: tra i due c’è “l’assoluta consapevolezza di muoverci su questi due fronti. Ora è il momento di voltare pagina, di rafforzare la forza parlamentare del governo. Perché è un governo che trova la sua legittimazione nel voto parlamentare“. Così il segretario Pd blinda Conte ma incita a un cambio di passo. Dopo il voto in fiducia in Senato di martedì scorso, dopo la maggioranza relativa incassata, ieri il premier Conte è salito al Quirinale per riferire su quanto sta accadendo. Tutti – da Conte a Zingaretti a Mattarella – concordano sul fatto che una maggioranza di questo tipo sia destinata a fallire. Fallisce numericamente, perché non ottiene la maggioranza assoluta in Senato e perché tre voti tra quelli ottenuti provenivano in realtà da senatori a vita. E fallisce politicamente, perché ha raccolto qualche indeciso un po’ a destra e un po’ a sinistra, ma senza un progetto politico organico. Che fare, allora?

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Il Pd alza l’asticella

Il Pd sembra optare per una duplice strategia: da un lato blindare Conte, rifiutando ogni tipo di interlocuzione con Italia viva, dall’altro incitarlo attraverso numerose dichiarazioni pubbliche a cambiare passo. Il Pd aspetta ancora di incassare da Conte e M5s un nuovo patto di legislatura e la legge proporzionale, promessa ormai da moltissimi mesi. L’appoggio c’è, ma i dem non vogliono ridursi a fare da stampella per lo zizgarare del premier. Tanto più che lo stesso presidente del Consiglio potrebbe superare l’impasse creando un gruppo autonomo centrista che funga da quarta forza in grado di sorreggere la maggioranza. Un ruolo da primario che al Pd – comunque critico nei confronti dell’operato del premier – non va tanto giù. Insomma, il Pd ci mette la faccia e blinda, ma sotto i baffi mugugna. E questi mal di pancia si fanno sempre più evidenti.

Tra i deputati insoddisfatti del Pd che hanno comunque votato la fiducia, ricordiamo Tommaso Nannicini, che a seguito del voto ha pubblicato un articolo in cui illustra le sue critiche. Tra gli insoddisfatti ci sono anche le deputate Lia Quartapelle e Chiara Gribaudo. Proprio quest’ultima, in un’intervista a Open, avrebbe esplicitato le proprie perplessità: “Ho votato sì perché non era il momento di crisi al buio, per i cittadini e per unità di partito. Ma l’ho fatto anche con la volontà di uscire da questa crisi con un Governo che abbia comunque uno scatto diverso e una capacità maggiore di affrontare problemi e di dare risposte ai cittadini, anche per l’attuazione del Recovery Plan“. Proprio a proposito degli insoddisfatti per l’operato del governo, Gribaudo afferma: “Credo che siamo più di quanti si creda. Da molti colleghi ci sono richieste di cambio di passo, il Governo deve rispettare la nostra funzione. Se deve correre, noi possiamo fare il nostro lavoro andando ad intercettare le necessità che raccogliamo dai cittadini. In secondo luogo, abbiamo anche una funzione di controllo e non è lesa maestà esercitarla“. Insomma, parte del Pd chiede un cambio di passo e un maggiore ruolo decisionale nelle azioni di governo. Il Pd ci mette la faccia per blindare Conte mentre lo pungola. Basterà?

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Il M5s si lascia blindare

Dall’altro fronte, il M5s appare frantumato da una profonda crisi interna. Il Movimento si aggrappa alla figura di Giuseppe Conte, gode della blindatura del Pd, anche perché entrambe le forze politiche temono uno scenario: senza Conte, il M5s potrebbe entrare in una crisi ancora più profonda. A quel punto sarebbe davvero difficile trovare un’altra maggioranza in Parlamento. Manca la voce di un leader, visto che quella del ministro degli Esteri Luigi Di Maio è diventata sempre più istituzionalizzata. Ora l’appello è a forze europeiste e liberali, un notevole cambio di passo rispetto al passato, con il quale il Movimento dovrà fare i conti.

Proprio Di Maio ora avrebbe commentato: dobbiamo “metterci insieme come forze e realtà europeiste per scrivere un Recovery Plan all’altezza della situazione. Ci siamo rivolti ai parlamentari animati da uno spirito europeo che però, attenzione, prevede delle sfide. Tutto questo richiede una forza parlamentare maggiore e sono fiducioso che ci sia”. A proposito di un’ipotetica alleanza con Forza Italia: “Io in questo guardo alle tante persone che anche in questi giorni hanno voluto osservare qual era il progetto del governo per decidere liberamente se sostenerlo”.

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Conte ci prova

Di fronte a questa duplice blindatura, ora molto dipenderà dal premier Giuseppe Conte. Nel frattempo il presidente del Consiglio cerca di raccogliere responsabili tra i centristi, i moderati, gli europeisti, i riformisti. Lo fa promettendo un progetto politico condiviso, una legge elettorale proporzionale, un patto di legislatura comune. Inoltre, restano scoperti almeno due ministeri e un sottosegretariato. Lo fa forte della posizione delle forze di maggioranza, che ribadiscono: o Conte o le elezioni anticipate. In ogni caso fuori Matteo Renzi. Secondo quanto riportato dal Corriere né Pd né M5s si dicono pronti a votare esecutivi tecnici, di scopo o di unità nazionale. Dietro questa posizione ci sarebbe anche la notevole influenza che Goffredo Bettini sta avendo nella gestione dei giochi di palazzo. Ed è lo stesso Bettini a ribadire l’esigenza di allargare la maggioranza: con i 156 voti raccolti in Senato non si arriverebbe a fine legislatura.

Nel frattempo, però, il tempo scorre. Il Pd – tramite la voce di Dario Franceschini – alza l’asticella e afferma l’esigenza di arrivare almeno a 170 senatori (non più 161). Questo per evitare situazioni di stallo nelle Commissioni. Dall’altro lato, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella osserva da lontano, ma con sempre meno pazienza. Aveva chiesto al premier Conte di evitare sprechi di tempo e maggioranze raccogliticce. Ma Conte chiede altri dieci giorni per giungere a un allargamento della maggioranza. Poi si vedrà. Se il premier non riuscirà a portare a termine il suo proposito, le forze di maggioranza si dicono pronte a supportare solo il voto, stando al Corriere. Quello stesso voto che Mattarella vorrebbe evitare ad ogni costo, a patto di proporre – suo malgrado – un governo tecnico. C’è motivo di pensare che se si dovesse giungere a questo collo di bottiglia, alla fine le forze di maggioranza cederanno e accetteranno un altro governo. Ma intanto ci si prova, Conte avanti ma non troppo, gli altri a coprire le spalle.

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