A dicembre 101mila occupati in meno. Il 98% sono donne: il genere pesa ancora

Il quadro della disoccupazione in Italia emerge in maniera sempre più preoccupante, stando ai dati Istat. A preoccupare soprattutto le donne, duramente colpite dalla crisi Covid: il mese scorso gli occupati sono diminuiti di 101.000 unità. Circa 99.000 sono donne. Un dato che ci dice molto non solo sull’attuale stato di salute dell’economia italiana, ma anche su che impatto abbia avuto in relazione alle differenze di genere. 

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MeteoWeek.com (da Getty Images)

La crisi economica in Italia si fa sempre più evidente, e ora a dimostrarlo ci sono anche i dati Istat. Secondo l’Istituto il mese scorso gli occupati sono diminuiti di 101.000 unità. Circa 99.000 sono donne, mentre appena 2.000 sono uomini. I dati sconvolgono due volte. Da un lato la crisi economica legata al coronavirus mostra con ogni evidenza tutti i suoi effetti: calano drasticamente gli occupati, e questo a fronte di un blocco dei licenziamenti ancora in vigore. Dall’altro lato sconvolge la schiacciante prevalenza delle donne tra gli occupati fatti fuori dalla crisi Covid. Una prevalenza che resta evidente anche nei dati riguardanti i dodici mesi: il saldo negativo di 444.000 unità  è composto da 312.000 donne e 132.000 uominiTutto questo si inserisce in un quadro genericamente negativo: il tasso di disoccupazione è salito al 9,0% (+0,2 punti) a dicembre. E tutto questo mentre la diminuzione dell’occupazione (-0,4% rispetto a novembre) coinvolge soprattutto: donne, dipendenti e autonomi (che il mese scorso sono diminuiti di 79.000 unità). Fanno eccezione gli ultracinquantenni, che invece registrano una crescita occupazionale mantenendo sostanzialmente stabile la componente maschile. Nel complesso, sottolinea Istat, il tasso di occupazione scende al 58,0%, con una diminuzione di 0,2 punti percentuali. A farne le spese sono soprattutto le donne: “Il mese di dicembre mostra, rispetto a novembre, una dinamica decisamente diversa tra donne e uomini: per le prime cala il tasso di occupazione (-0,5 punti) e cresce quello di inattività (+0,4 punti), per i secondi la stabilità dell’occupazione si associa al calo dell’inattività (-0,1 punti); è invece concorde l’andamento della disoccupazione che cresce di 0,3 punti per le donne e di 0,1 punti per gli uomini”. 

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A commentare i dati è anche la Cgil, che ribadisce: senza una proroga del blocco dei licenziamenti saremo di fronte “a una vera e propria bomba sociale. Donne, giovani, lavoratori autonomi hanno già pagato un prezzo altissimo, destinato a salire qualora non si mettano in campo strumenti straordinari e innovativi per governare la fase di transizione che verrà determinata dall’onda lunga della crisi”. Per questo ad esempio la Cisl richiede una proroga del divieto di licenziamento della cassa integrazione Covid e ulteriori indennità per i co.co.co., per la partita Iva e per gli iscritti alla gestione separata. Ma oltre a interventi mirati per gli autonomi, per la Uil servono servono politiche attive e recupero del gap occupazionale e di genere con investimenti in servizi materiali ed immateriali. A commentare è anche il presidente della fondazione Adapt Francesco Seghezzi, che lancia l’allarme: quando il blocco dei licenziamenti terminerà, “si può immaginare uno scenario peggiore“. Peggiore per chi? Fino ad ora sono stati donne e giovani i più colpiti, ma non è detto che sia così per sempre: “Ad oggi hanno pagato le fasce di lavoro più deboli, le donne e i giovani con contratti temporanei. Ma non si può escludere che ci sarà un’ulteriore crisi che andrà a riguardare le persone che pensavano di essere tutto sommato tutelate: potrà essere la nuova faccia della crisi“. Dall’altro lato, dice Sghezzi, bisogna pensare ai giovani e alle donne che intanto hanno subito i primi effetti della crisi: “Non si può congelare la situazione ma occorre prepararsi facendo attività di formazione“.

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Qualche osservazione sui dati

Il dato questa volta è schiacciante, e lascia trapelare due evidenze significative. La prima è che lo stato non ha fatto abbastanza per tutelare le donne dalla loro posizione più fragile in ambito lavorativo. Lo stato non ha fatto abbastanza per garantire una buona conciliazione tra lavoro e scuole chiuse, addossando alle donne il compito di gestire questo fuoco incrociato. Quando il lavoro è tornato in presenza e la didattica no, quella è stata la prima falce che ha portato diverse donne a giostrarsi tra compiti diversi, anche se condivisi con i partner. E lo stato non ha fatto abbastanza per tutelare una situazione lavorativa (estesa a un intero genere) che sapeva più fragile rispetto a quella maschile. La seconda falce arriva per problemi strutturali: non si parla più solo di gender gap, di licenziamenti mascherati pre-maternità o di generici tassi di disoccupazione femminile. Si parla di un ruolo evidentemente subalterno nel mondo del lavoro che, messo alle strette, individua subito le sue prime vittime. Le donne, così come i giovani, sono una forza lavoro che in Italia è rimasta imbrigliata nella maglia delle scarse garanzie contrattuali e che è dunque la prima a esser fatta fuori. Ma il problema è molto più grande, non solo per la tragicità degli attuali numeri sulla disoccupazione: quando il mercato del lavoro deve tagliare, taglia indiscriminatamente a partire dai più deboli, ma non si ferma finché non raggiunge un nuovo stato di equilibrio funzionale solo a sé stesso. Nel mezzo ci sono migliaia di posti di lavoro persi. Ci vorrebbe un governo in grado di gestire questi smottamenti. Purtroppo sta ancora decidendo a chi dare quale ministero.

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