L’epidemiologo Cislaghi: indice Rt? Con l’Rdt dovremmo chiudere

Mentre quasi tutta Italia torna a tingersi di giallo, proseguono gli appelli da parte di alcuni esponenti della comunità scientifica: è necessario, secondo loro, rivalutare l’incidenza dell’indice Rt nella presa delle decisioni. A commentare anche l’epidemiologo Cesare Cislaghi, che invece propone un’analisi secondo l’utilizzo dell’indice Rdt (come in Germania) e afferma: “È troppo presto per togliere alle regioni il rosso e l’arancione. Questo dal punto di vista epidemiologico“.

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MeteoWeek.com (da Getty Images)

L’Italia si tinge quasi tutta di giallo, si alzano le serrande di bar e ristoranti, le piazze si riempiono – non senza polemiche -, ma restano alcuni dubbi sui criteri con cui vengono prese decisioni di questo tipo. L’indice Rt, il più importante tra i 21 indicatori nel decretare il passaggio da una zona all’altra, è da tempo oggetto di polemiche. A sostenere l’esigenza di trovare un indicatore più efficace è la Fondazione Gimbe, che da diversi mesi chiede un ruolo differente attribuito all’indice Rt. Oltre alla celebre Fondazione, anche Giorgio Parisi, presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei, aveva espresso diversi dubbi riguardo l’indice Rt. Già a novembre scriveva sull’Huffpost: “Il sistema di calcolo di Rt si basa sul numero di persone che sviluppano sintomi, ma se – per inefficienze di varia natura – questo numero non è corretto, il valore stimato di Rt diventa anch’esso un numero non corretto. Questo fatto è ben noto a tutte le persone esperte di statistica che hanno provato a calcolare da sé l’evoluzione di Rt a partire dai dati ufficiali dei vari Paesi”. Le criticità vengono sollevate anche dal professor Antonello Maruotti, ordinario di Statistica presso l’Università Lumsa, che in un’intervista per MeteoWeek ha ribadito: “L’Rt è il numero medio di persone che un infetto può contagiare. L’indice Rt è utile, ad esempio, per avere un’idea su quello che può avvenire tra due settimane. L’Rt, come lo utilizziamo noi, è basato su dati vecchi e su assunzioni non verificate, che non rispecchiano il reale andamento dei numeri. Ci sono indicatori più utili: infatti l’Istituto Superiore della Sanità ne usa ben 21. Ma l’indice Rt è discriminatorio nel produrre le decisioni“. 

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Cesare Cislaghi: “Abbiamo riaperto troppo presto”

L’ultimo parere indicativo – in termini di tempo, decisamente non in termini di merito – è quello di Cesare Cislaghi, epidemiologo di 77 anni che ha lavorato all’Istituto di statistica medica e biometria di Milano, e che ha presieduto l’Associazione italiana di epidemiologia. Cislaghi avrebbe analizzato i dati del ministero facendo uso di altri indicatori e, senza spirito polemico, ha voluto dare il suo contributo allo studio della situazione coronavirus in Italia. Il problema è che il verdetto è un po’ più preoccupante di un’Italia quasi completamente tinta di giallo. Al Corriere avrebbe ribadito: È troppo presto per togliere alle regioni il rosso e l’arancione. Questo dal punto di vista epidemiologico“. A causare uno scostamento di percezione della gravità della situazione è, secondo Cislaghi, proprio l’utilizzo dell’indice Rt.

Un indice che è già stato più volte criticato per due motivi: la sua “lentezza” nel registrare dati di due settimane prima, e la sua presunta inaffidabilità legata all’inaffidabilità dei dati di monitoraggio da cui viene estrapolato. Ora Cislaghi ribadisce: “Se il ministero, anziché l’indice Rt, prendesse in considerazione l’indice Rdt utilizzato in Germania dall’istituto Robert Koch, che lo chiama numero di riproduzione, calcolato sui nuovi positivi, avremmo potuto verificare che nello stesso giorno in cui è stato firmato il decreto, il valore è tornato sopra l’unità dopo 13 giorni in cui si era mantenuto costantemente al di sotto“. Infatti mentre l’indice Rt prende in considerazione la data di inizio dei sintomi, l’indice Rdt prende in considerazione la data della diagnosi di positività (riferita dai risultati dei tamponi). In tal modo è possibile conoscere la percentuale delle diagnosi di positività notificate dopo un certo intervallo di tempo dalle diagnosi precedenti. Insomma, l’indice Rdt dovrebbe misurare quanto crescono le diagnosi di positività dopo un intervallo prestabilito. Cislaghi allora ribadisce quanto scoperto adottando un calcolo diverso: “Tredici regioni hanno questo indice di replicazione superiore ad uno e quasi tutte le rimanenti, tranne Valle d’Aosta e Sicilia, lo hanno comunque in crescita“.

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Altre osservazioni sull’indice Rt

Questo non vuol dire, ovviamente, che le aperture e le chiusure siano gestite in maniera indiscriminata. E’ un sottile equilibrio tra indici a indicare la via, e potrebbe migliorare o peggiorare senza l’indice Rt, il parere va agli esperti. Di certo in tanti continuano a sottolineare almeno un’esigenza: ridimensionare il peso dato all’indice nell’indicazione delle fasce. L’indice Rt continua ad avere più “peso rispetto a quello che dovrebbe avere“, spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. Nino Cartabellotta già a novembre in audizione parlamentare ne aveva evidenziato le criticità. L’esperto ora ricorda, come riportato dal Giornale: “Avevamo segnalato che dare all’Rt un peso così determinante nell’assegnazione delle zone di rischio fosse eccessivo. Ma è un parametro che è stato condiviso da Regioni e governo, perché serviva un numero semplice, estratto dai 21 indicatori, che permettesse di pesare sul risultato finale. Però una serie di criticità metodologiche“.

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Ma quali sono queste criticità?Considera per esempio solo i soggetti con sintomi e in una fase come quella tra ottobre e novembre, caratterizzata da molti soggetti asintomatici, l’Rt ha sottostimato la circolazione del contagio. Abbiamo evidenziato in sede istituzionale la debolezza di questo indicatore, che ovviamente diventa un problema quando si dà a questo criterio un peso enorme. Se l’Rt fosse davvero solo uno dei 21 indicatori avrebbe un minore impatto, ma se, come accade, anziché un ventunesimo gli attribuisco il 50 per cento del peso sulle decisioni finali allora il rischio è di distorcere il quadro”. Inoltre l’indice Rt è il primo a scendere in presenza di misure restrittive e il primo a risalire quando vengono allentate. Questo perché è calcolato anche in base al numero di persone che potenzialmente un positivo potrebbe contagiare. Questa potenzialità dipende anche, è evidente, dal numero di persone che può incontrare, e di conseguenza dalle misure restrittive in atto. La presunta criticità di questo Rt comporterebbe – secondo Nino Cartabellotta – una deviazione nella prese di decisioni: nel momento in cui l’indice Rt migliora le Regioni escono troppo presto dalla fascia di riferimento, mentre quando peggiora ci entrano “precocemente”. Insomma, al momento l’Italia si tinge quasi tutta di giallo, ma sicuri che non sia uno sbaglio?

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