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Politica

La Lega sotto pressione: Draghi si, Draghi no. Possibili strappi in vista

L’arrivo di Mario Draghi sulla scena politica italiana ha innescato una serie di corto circuito “a catena”. Anche la Lega è ad un bivio. 

Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini

Sostenere Draghi o non sostenere Draghi? Questo è il dilemma. Le parole del presidente Mattarella hanno spazzato via ambiguità e retropensieri: per il bene dell’Italia bisogna sostenere il progetto di governo di Mario Draghi. Non c’è tempo, la pandemia prosegue a mietere vittime e bisogna gestire nel migliore dei modi possibile i 209 miliardi del Recovery Plan. Matteo Renzi si è reso strumento politico di uno scossone che deve necessariamente portare alla soluzione di un governo stabile, coeso, che termini la legislatura e porti a casa – come priorità – il piano vaccinale ed, appunto, i soldi in arrivo d Bruxelles.

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Andare al voto sarebbe un problema, ha spiegato Mattarella: una “pericolosa” (dal punto di vista pandemico) campagna elettorale e sopratutto tempi troppo lunghi per l’insediamento e l’attivazione di un nuovo parlamento e quindi di un nuovo governo. Messaggio chiaro: un vero e proprio richiamo alla responsabilità istituzionale. Che crea un problema non da poco al centrodestra, che fin dagli albori di questa crisi di governo aveva espresso molto chiaramente la sua posizione: si deve andare a votare. Negli ultimi giorni, da quando si è palesata in modo esplicito la possibilità relativa ad un governo Draghi, la situazione della destra parlamentare italiana si è velocemente dinamicizzata: Berlusconi e Forza Italia hanno quasi da subito espresso il loro sostegno – non “in bianco”, certo – all’ipotesi Draghi. Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, d’altro canto, hanno scelto un atteggiamento coerente rispetto alle posizioni espresse negli ultimi anni ed anno dichiarato che, in caso questa possibilità si trasformi in un governo reale, andranno all’opposizione.

Matteo Salvini e Luca Zaia

Poi c’è la Lega: Salvini fino ad un minuto prima che Mattarella parlasse ha indicato con forza la strada delle elezioni come l’unica da seguire. Poi qualcosa è cambiato. Nel corso di un confronto serrato in segreteria politica Giorgetti e Zaia avrebbero spinto per sostenere Mario Draghi, naturalmente ad alcune condizioni: a partire dall’incompatibilità – chiaramente espressa – con il Movimento 5 Stelle. “Dovrà scegliere tra le nostre richieste e quelle di Grillo” ha commentato Salvini, esprimendo una posizione netta: il nuovo governo non dovrà avere nulla a che fare con quello appena andato a casa, il Conte II. E poi ovviamente il programma: dovrà riferirsi al  Recovery Fund, al piano vaccinale e a poco altro. Per i temi più delicati (patrimoniale e riforma delle pensioni su tutti) bisognerà attendere la prossima legislatura.

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A queste condizioni, la Lega potrebbe starci: anche a prescindere da quel che pensa e dice Matteo Salvini. Ed ecco che appare chiaro come in questo momento si decida molto dei futuri assetti del partito, sopratutto a livello di rapporti di forza interni. Giorgetti e Zaia hanno di fatto commissariato le scelte leghiste, anche se hanno voluto dichiarare che si muovono tutti insieme, “come un sol uomo”. Ma certamente un appoggio ad un governo smaccatamente europeista come sarà quello di Mario Draghi non può non rappresentare un momento di passaggio che resterà ben chiaro nella storia della recente politica italiana. Il portato di euroscetticismo che fino ad ora ha trovato formalmente spazio e centralità a via Bellerio dovrà essere inevitabilmente smussato: il che forse è anche corretto, per un partito che ha ormai chiare e legittime ambizioni di governo. Restano da capire due cose: come reagirà l’elettorato e come si andrà a risolvere il braccio di ferro – se così si può chiamare – tra la Lega “istituzionale” di Giorgetti e Zaia e quella “di piazza” di Matteo Salvini. Il come, più che il se, chiarirà se nel primo partito d’Italia ci sia aria di spaccatura o no.

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