Sostituire Arcuri è stata una scelta corretta, ma proseguire sulla strada dell’emergenzialità e dei commissariamenti potrebbe essere un danno peggiore della cura che si vuole applicare.
Dopo un periodo di valutazione e una serie di spinte politiche abbastanza insistite – a partire da quelle del segretario della lega Matteo Salvini – Mario Draghi ha preso la decisione di sostituire il commissario straordinario all’emergenza Covid Domenico Arcuri. Notizia di qualche giorno fa, accolta con soddisfazione da tanti, e che a freddo è il momento di commentare. Che Domenico Arcuri fosse arrivato al capolinea era ormai evidente: troppi errori, troppe ambiguità, troppa continuità con il governo Conte II da cui ci si aspetta distanza: nelle scelte e nei risultati. Il governo Draghi, o “dei migliori” – come si diceva prima di vederlo completato ed operativo – è arrivato esattamente per questo motivo: cambiare rotta ed ottenere risultati decisivi e tangibili.
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Dopo aver adottato tutta la diplomazia politica possibile (al limite dell’applicazione del famoso “manuale Cencelli”) nel formare la compagine dei ministri e nel nominare i sottosegretari, la discontinuità da qualche parte la si voleva scorgere. E sembra che sia arrivata. Due le scelte, in qualche modo collegate tra loro: la nomina di un nuovo capo della Protezione Civile ed appunto la sostituzione del commissario straordinario all’emergenza Covid. Per quel che riguarda la prima scelta, nulla da dire: Fabrizio Curcio, la figura individuata da Draghi, ha già ricoperto quel ruolo in modo ineccepibile fino al 2017 ed ha un curriculum di tutto rispetto iniziata nei Vigili del Fuoco. Una scelta di discontinuità che mira, probabilmente, a rimettere al centro della gestione della pandemia la Protezione Civile, in un processo di “normalizzazione” della gestione della crisi che farebbe bene al paese sotto tutti i punti di vista.
E’ evidente che una pandemia mondiale sia un evento eccezionale, che ha messo – e sta mettendo – a durissima prova l’infrastruttura stessa dello Stato. Un “cigno nero” che ha evidenziato la condizione drammatica della nostra sanità pubblica, devastata da decenni di tagli di cui nessuno si sta assumendo la responsabilità. Piani pandemici obsoleti, dotazioni quasi inesistenti ai presidi medico-sanitari, incapacità di leggere correttamente gli eventi da parte della classe politica innanzitutto (vi ricordate le dichiarazioni di Salvini e Zingaretti tra fine febbraio ed i primi di marzo, ad inizio pandemia?- ndr) ma anche da buona parte della classe dirigente tutta, compresa quella scientifica: la “battaglia” mediatica dei virologi resta ad oggi uno dei momenti meno edificanti di tutta la drammatica vicenda del Covid. E’ il drammatico elenco che racconta di una situazione complessiva che non poteva essere gestita che attraverso il canale dell’emergenzialità. Eravamo troppo impreparati, sotto tutti i punti di vista.
Un approccio eccezionale che, tra l’altro, non ha nemmeno sortito gli effetti sperati: il caos mascherine, la gestione della scuola, i trasporti pubblici, le aperture insensate e fuori controllo durante l’estate, la mancanza di una visione a medio-lungo termine, l’assurdo “apri e chiudi” della seconda ondata, la gestione del Natale. Una serie di errori che sicuramente sono attribuibili alla poca capacità di chi ha deciso, ma che fanno riferimento anche al pensiero – secondo noi sbagliato – che la gestione emergenziale sia più efficace di una “ordinaria gestione”. Questa è una caratteristica abbastanza tipica dell’Italia degli ultimi decenni, che però non è mai stata premiata dai risultati. Anche nel caso della pandemia di Covid la gestione del commissario straordinario ha lasciato molto a desiderare: in parte per errori personali, in parte per inefficienza del modello. Forse era proprio questa la discontinuità che ci si attendeva da Draghi: imporre una gestione ordinaria dell’emergenza, imponendo ad ogni struttura l’assunzione di responsabilità della gestione delle sue competenze. Per le questioni sanitarie c’è il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità ed il Comitato Tecnico Scientifico: non bastano per garantire una corretta applicazione della campagna vaccinale, per l’acquisto dei dispositivi, per tutte le questioni anche tecniche che riguardano la pandemia? Invece, una volta liquridato Arcuri, Draghi ha nominato un nuovo commissario, addirittura un militare, il generale Figliuolo. Che sicuramente sarà preparatissimo, per carità. Ma – anche a livello di percezione collettiva – un commissario straordinario che è anche un alto ufficiale dell’esercito, se da un lato può rassicurare, dall’altro comunica l’assoluta inaffidabilità delle strutture pubbliche e “civili” preposte a gestire la situazione. Un generale come commissario all’emegenza è il massimo dell’eccezionalità: l’Italia ha bisogno, invece, di normalità e di efficienza da parte di chi, tutti i giorni, deve preoccuparsi della nostra salute e sicurezza.
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