Sondaggi, Pd in calo. Bisogna attendere la “cura Letta” o c’è dell’altro?

Arrivano i nuovi dati del sondaggio Index Research per Piazzapulita: stando a quanto emerso dal sondaggio, il Pd avrebbe perso l’1,1% rispetto a due settimane fa. Un dato che lascia emergere immediatamente una domanda, alla luce dell’elezione del nuovo segretario del Pd: è necessario attendere che emerga “l’effetto Letta” o il Pd potrebbe aver perso la sua funzione politica dopo il governo Conte II?

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I risultati Index Research per Piazzapulita, andati in onda ieri sera su La7, non lasciano intravedere uno scenario incoraggiante per il Pd. La Lega resta sempre il primo partito in Italia, registrando un 24% (con un +0,6% rispetto a due settimane fa). Subito dopo appare il Pd, che è sì al secondo posto, ma con dei numeri in calo: questa settimana registra un 18%, con un calo dell’1,1% rispetto a due settimane fa. Seguono poi Fratelli d’Italia, abbastanza stabile con il suo 16,6% (+0,1%) e Movimento 5 stelle, con il 15,3%(+0,8). Come interpretare questi dati, alla luce dell’elezione del nuovo segretario del Pd Enrico Letta? Per capire bene la situazione potrebbe esser utile confrontarli con altri sondaggi diffusi in questi giorni. Stando alle ultime rivelazioni di SWG per il Tg di La7, riportare il 15 marzo, il Pd questa settimana avrebbe guadagnato punti, incassando un +0,8% e approdando al 17,4%. Insomma, in questo caso il Pd sarebbe dato in salita. E non solo. Il 75% degli intervistati si sarebbe espresso favorevolmente nei confronti della figura dell’ex presidente del Consiglio Enrico Letta.

Secondo i sondaggi politici sui dati Ipsos e Emg diffusi martedì per DiMartedì, invece, il Pd sarebbe arrivato al 16,1%, ottenendo un aumento 2,1% rispetto alla settimana precedente. Insomma, sondaggio che vai, dati che trovi. Una cosa, però, possiamo notarla: il Pd è dato sempre intorno al 16-18%, e in ogni caso non sembra aver fatto nessun clamoroso balzo in avanti dopo l’elezione di Enrico Letta. Anzi, nell’ultimo sondaggio rilevato in ordine di tempo – quello di Index Research – è dato addirittura in calo.

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Qualche informazione in più

Per farci un’idea di cosa stia accadendo, può esser utile analizzare ancora i sondaggi Ipsos illustrati da Nando Pagnoncelli, che avevano anche un focus specifico sul Pd. Da cosa è composta la famosa base elettorale del Pd? Il sondaggio rivelava che per il 34% sono pensionati, per il 20% impiegati o insegnanti, per il 13% casalinghe, per il 13% operai e affini. Per quanto riguarda l’età, il 35% ha oltre 65 anni. Il che potrebbe spiegare il perché si preferisca la condotta moderata, quasi di impronta democristiana, di Enrico Letta. A confermarlo, anche i dati emersi alla domanda: “Chi vorreste dopo Draghi?“. Qui la sorpresa: il 39% del campione preferirebbe un ticket formato da Giuseppe Conte ed Enrico Letta rispetto a Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Come a dire, un Pd a condotta moderata potrebbe intercettare, insieme al M5s di Conte, una buona base di moderati.

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Bisogna scegliere

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A questo punto l’effetto Letta potrebbe arrivare più in là, è vero. Ma è anche vero che nell’attuale sistema politico i rappresentati politici tendono a “scaricarsi” nel tempo: arrivano con un certo capitale di credibilità che pian piano viene eroso dal dipanarsi degli eventi. Teoricamente, se ci fosse un effetto Letta dovrebbe essere imminente. Attendiamo dunque ancora un po’. Ma se non dovesse arrivare, il Pd si troverebbe costretto a scegliere, di nuovo, da che parte vuole stare. Il perenne cambio di segretari non ha risolto un problema identitario che può esser risolto solo sui temi. Il Pd deve, insomma, capire se vuole portare a termine la sua campagna di accentramento democristiano e asse con il M5s, o se vuole invece provare a creare un nuovo asse con il centrosinistra più radicale. Nel primo caso andrebbe ad attingere nella nuova sacca di elettorato centrista che sembra emersa nel corso di questa crisi politica, economica e sociale. Nel secondo caso andrebbe ad attingere in tutte le fasce elettorali che, abbiamo visto nel sondaggio Ipsos, appaiono carenti nel Pd: giovani e operai.

E’ possibile metterla anche in un altro modo: per un partito di centrosinistra è cruciale capire se vuole rivolgersi agli operai o meno. Non foss’altro perché questa decisione va a intaccare alla radice il concetto stesso di centrosinistra. E’ evidente che un partito composto in gran parte da pensionati e moderati non avrà quello slancio necessario per affrontare temi cruciali come il precariato giovanile, un mercato del lavoro incline ad adottare stage e finte partite Iva come sostituti di contratti di lavoro a tempo determinato, o la delocalizzazione delle aziende. Insomma, restiamo in attesa “dell’effetto Letta” ma inizia a sembrare evidente un elemento: il cambio volto serve a poco, se alla base il Pd non decide da che parte stare, se più al centro o a sinistra.

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I temi su cui decidere

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Sottolinea l’esigenza di una presa di decisione anche Elly Schlein, già eletta parlamentare europea nel 2014 con il Pd, ora vicepresidente della regione Emilia Romagna e leader della lista “Coraggiosa”, a sinistra del Pd, partito poi abbandonato dalla stessa Schlein. Il progetto di Schlein sarebbe quello di rimettere insieme i tanti frammenti del centrosinistra e dunque di creare uno dei due assi sopraenunciati. Alla vigilia dell’elezione di Letta per la Repubblica aveva affermato: “Si è aperta una crisi dell’area progressista, ed è una crisi del Pd riguarda anche noi che stiamo da un’altra parte. Spero che la scelta di Letta non smonti il senso politico della crisi del nostro campo. Non si tratta di ristrutturarlo, ma di ricostruirlo tutti insieme“.

Schlein poi lo dice chiaramente: “Se il Pd non decide se essere quello del Jobs act e del lavoro precario oppure qualcos’altro, non basterà la credibilità di Letta a salvarlo. Serve uno schema nuovo“. Ma qual è questo schema nuovo? Schlein, parlando dell’Emilia Romagna, insiste sulle politiche redistributive: “Contributi per pagare l’affito proporzionali al calo di reddito e fondi sui nidi per conciliare tempi di lavoro e di vita per esempio. Vorrei che si parlasse di queste cose”. E forse ha ragione. Forse, al netto di tutte le strategie e al netto di tutte le analisi politiche, finché il Pd non affronterà questi temi, non deciderà da che parte stare. E non decidere vuol dire rimanere bloccati sotto quel tetto del 18%, se non peggio.

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