Voto ai 16enni: Letta apre la diatriba. Provocazione o visione politica?

Da giorni, ormai, si discute della proposta del nuovo segretario del Pd Enrico Letta, che nel suo discorso all’Assemblea nazionale del Partito democratico di domenica scorsa ha proposto di garantire il diritto di voto ai 16enni. Nel corso di questi giorni si sono confrontate le diverse posizioni per il sì e per il no. Quali? E soprattutto, quella di Letta è una provocazione senza futuro o una reale visione politica?

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Enrico Letta, prima di esser eletto segretario del Pd, ha tenuto un discorso all’Assemblea nazionale del Partito Democratico in cui ha esposto i punti che sarebbero stati al centro del suo “mandato”. Tra i tanti “cambiamo”, c’era anche una proposta sul diritto di voto: Letta ha proposto di estenderlo anche ai 16enni. E’ La Stampa a riportare i dati Istat e a far notare: oggi in Italia le persone tra i 16 e i 18 anni non compiuti sono circa 1 milione e 130mila. Un numero che corrisponde a circa un 2% di tutto il bacino elettorale. Insomma, si tratta di una percentuale troppo bassa per incidere realmente, a livello numerico, sugli esiti politici. Eppure l’estensione del voto ai 16enni è un’idea alla quale si pensa da tempo. Lo stesso Letta l’aveva proposta nel 2019, recuperando le posizioni di Walter Veltroni del 2007. Lo aveva ricordato lo stesso segretario del Pd in un’intervista alla Repubblica, nella quale ha ribadito: “L’avevo avanzata già due anni fa, ma adesso è urgente: occorre dire a quei giovani che abbiamo fotografato nelle piazze, lodando i loro slogan e il loro entusiasmo: vi prendiamo sul serio e riconosciamo che esiste un problema di sottorappresentazione delle vostre idee, dei vostri interessi”.

Letta apre il dibattito

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Domenica scorsa, il giorno della sua investitura da segretario, ha ribadito di esser a conoscenza che si tratta di una battaglia “divisiva, complicata, ma dobbiamo allargare il peso dei giovani nella società”. Si tratta di un’urgenza, sottolinea Letta, della quale si è reso conto soprattutto lavorando come professore tra il Sciences Po di Parigi e la Scuola di politiche a Roma. “Ho vissuto con una nuova generazione, mi hanno insegnato tanto e, parafrasando don Mazzolari, mi sento di dire che questo non deve essere il partito che parla dei giovani ma che fa parlare i giovani: saranno al centro della mia azione a tutto campo e su tutti i temi“. Eppure, non tutti sembrano d’accordo. La proposta di Letta, in sostanza, ha aperto un dibattito, è stata effettivamente divisiva, e in questo potrebbe sembrare anche provocatoria. Ma non è detto che tutto ciò che sia divisivo sia anche provocatorio. La provocazione deriva dal sostenere una tesi come pretesto per ideare uno scontro. E’ questo il caso? Per capirlo, bisogna analizzare bene le ragioni del sì e del no. E vedremo che forse la proposta di Letta non è un semplice pretesto.

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Le (discutibili) ragioni del no 

Le ragioni del no sono diverse. Secondo alcuni a 16 anni non si è sufficientemente maturi, o comunque consapevoli di ciò che accade nel mondo. E’ troppo presto, si dice, per esercitare il diritto di voto consapevolmente. Lo ribadisce sulla Stampa anche la psicologa dello sviluppo Anna Oliverio Ferraris a 16 anni “c’è ancora tanta immaturità e impulsività: si lasciano dominare dalle emozioni, è facile influenzare le loro opinioni e strumentalizzarli“. Potremmo dire che tutte le altre posizioni per il no derivino proprio da questa prima forma di pregiudizio. Ad esempio, c’è anche chi sostiene che i giovani non si recherebbero ugualmente a votare. Altri invece sostengono che voterebbero gli stessi partiti votati dai genitori, senza informarsi autonomamente. Altri ancora credono che il diritto di voto ai 16enni potrebbe esser pericoloso perché i più giovani hanno fisiologicamente posizioni più radicali rispetto agli adulti.

Ma tutte queste posizioni possono esser facilmente rovesciate facendo notare che il diritto di voto non può esser esteso in base a come si vota e, peggio ancora, a cosa si vota. Davvero crediamo che tutti i giovani siano immaturi e tutti gli adulti siano maturi? Se davvero vogliamo istituire una “prova di maturità” come criterio per il voto, dovremmo farlo per tutti, personalmente, non partendo da assunti generazionali non dimostrabili. E chi ha detto che le posizioni radicali siano automaticamente peggiori rispetto a quelle moderate? Sul clima, ad esempio, conviene essere radicali. E i Friday’s for Future, non a caso, sono trainati da giovani. Inoltre, va anche notato che molte di queste motivazioni sono esattamente le stesse che per anni vennero addotte per giustificare posizioni contrarie al diritto di voto delle donne: sono vulnerabili, manipolabili, immature, si diceva.

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Le ragioni del sì (un po’ meno discutibili)

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Tra le ragioni del sì, c’è innanzitutto una motivazione demografica: l’Italia soffre un profondo squilibrio demografico tra gli under 35 e gli over 65. In questo modo, la bilancia elettorale dell’Italia sembra pendere tutta da un lato, quello dell’anzianità, e rischia di alimentare proposte e programmi politici fatti su misura di un elettorato anziano. Abbassare l’età di voto sarebbe un tentativo di riequilibrare la sproporzione. Eppure, come ribadito da Alessandro Rosina sul Sole 24 Ore, il peso elettorale dei 35enni rimarrebbe inferiore di oltre due milioni rispetto al peso dei secondi. Dunque, la proposta potrebbe non bastare a colmare il divario in maniera soddisfacente. Eppure, è un gap che va almeno ridotto, conclude Rosina. Rifiutarlo, dice Rosina, “lascerebbe agli squilibri demografici di decidere per noi che i giovani contano poco”. A questa motivazione, si aggiunge un’altra argomentazione: “Le decisioni di indirizzo del paese per lo più sono in mano a una generazione che ha meno futuro di quello che normalmente i giovani hanno. E questo produce differenze notevoli della definizione dell’agenda delle politiche”, dice Francesco Clementi, costituzionalista e professore di Diritto pubblico comparato all’Università di Perugia, stando a quanto riportato dal Post.

E’ vero, a livello numerico i giovani inclusi sarebbero comunque pochi. Eppure, la faccenda anche un valore simbolico: i partiti politici dovrebbero ad ogni modo iniziare a prestare attenzione alle loro esigenze, seppur in maniera minima, perché si tratterebbe di una nuova fetta di popolazione in grado di fornire voti e appoggio. Inoltre, alcune motivazioni per il sì ribaltano anche alcune posizioni per il no sopraelencate: le persone di 16 anni sarebbero poco istruite, manipolabili? Nient’affatto, rispondono alcuni: la maggiore famigliarità con i social, al contrario, consente loro di analizzare meglio le fonti, riconoscere quali siano i canali d’informazione e quali no. Infine, un ultimo punto: i 16enni non sanno come funziona la politica, non conoscono programmi e strutture statali? Anche qui, alcuni rispondono ribaltando la questione. Anche ammesso che sia così, si potrebbero comunque inserire e/o incrementare i programmi di educazione civica nelle scuole. Si tratta di strade che possono procedere parallelamente.

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Quindi, provocazione o visione politica?

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Solo dopo aver analizzato criticamente pro e contro possiamo dire cosa abbia rappresentato la proposta di Letta, se una provocazione o una visione politica. Le ragioni del sì, al netto di tutto, sembrano esserci. E nel momento in cui incontrano le ragioni del no, sembrano anche renderle meno solide. Quindi possiamo dire che quella di Letta non è stata una banale provocazione. Eppure, quello di Letta ha qualcosa in più del mero altruismo. E’ una visione politica e una strategia politica allo stesso tempo. A spiegarlo a Open è direttamente Martina Carone, consulente di comunicazione per YouTrend, che afferma: “L’idea dell’allargamento alla partecipazione giovanile è una battaglia di area, molto identitaria. Per lui è necessario individuare alcune battaglie identitarie per legare la propria segreteria a proposte politiche misurabili. Come lo ius soli: o lo fai o non lo fai. Così il voto per i 16enni”. Insomma, oltre a essere un principio in cui crede, per Letta l’estensione del voto ai 16enni rappresenta anche un modo per connotare la sua segreteria, per imprimere un cambio passo, per ideare un profilo politico del Pd che riesca ad occupare, almeno, quanto rimasto fuori dal governo Draghi. C’è da dire che se non dovesse andare andare in porto, il Pd potrebbe comunque occuparsi di dare ai 18enni un motivo per votare. Ci accontenteremmo anche di quello.

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