Scuola: dopo Conte, attendiamo ancora il cambio passo di Draghi

Nella giornata di oggi, 7 aprile, entra in vigore quanto stabilito dal decreto legge approvato dal governo lo scorso primo aprile, ovvero una parziale riapertura delle scuole. La campanella, tuttavia, non suona indiscriminatamente in tutta Italia. La riapertura è legata all’ordine scolastico e al colore delle regioni. Nonostante lo sforzo, però, si fa ancora fatica a osservare un netto strappo con la strategia dell’ex ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina. E questo è un problema. 

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Oggi, 7 aprile, riaprono le scuole. Non ovunque, non per tutti gli ordini scolastici, ma riaprono. A stabilirlo è stato un decreto legge approvato dal governo lo scorso primo aprile, che concretizza quanto auspicato da Mario Draghi fin dai primi momenti del suo insediamento: dare priorità alla scuola. Le scuole riaprono per le lezioni in presenza fino alla prima media in tutta Italia, anche nelle regioni in zona rossa. Con una differenza: nelle regioni in zona arancione riparte la didattica in presenza anche per gli alunni fino alla terza media. Per quanto riguarda le scuole superiori, inoltre, le regioni in zona arancione devono garantire la didattica in presenza ad almeno il 50%, estendibile fino al 75%. Si parla di quasi il 66% degli studenti, da tempo costretti a apri e chiudi improvvisi e rimasti a casa, l’ultima volta, con il Dpcm di inizio marzo. Prosegue, intanto, il lavoro del governo per definire un protocollo valido in tutta Italia per la gestione dei contagi tra i banchi. Le norme avevano raggiunto un livello di frammentarietà tale da prevedere protocolli diversi persino all’interno della stessa città. Una frammentarietà, ovviamente, non più sostenibile, sulla quale stanno lavorando il dicastero della Salute e quello dell’Istruzione.

Un altro protocollo…

Il nuovo protocollo sembra allora in dirittura d’arrivo e la nuova direttiva dovrebbe essere trasmessa a brevissimo ai diversi istituti, spiega il Sole 24 Ore. Il protocollo dovrebbe sostituire quanto predisposto dall’ex ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina il 6 agosto 2020, una sorta di vademecum sulla gestione di casi infetti, luoghi comuni e misure di igiene e distanziamento sociale. E’ ancora presto per dire se e quanto sarà diverso il protocollo diffuso dal governo Draghi, ma intanto sembrano emergere i primi dettagli. Ai ragazzi e alle ragazze, ad esempio, sarà vietata ogni occasione di assembramento davanti ai distributori automatici, così come sarà vietata ogni forma di riunione, gruppo o incontro pericoloso nella formazione di assembramenti. In genere, l’idea è quella di evitare ogni momento di aggregazione tra gli studenti al di fuori della classe. E, al di là delle nuove eventuali disposizioni presenti nel protocollo, l’idea è quella di ricreare un sistema di norme omogeneo da applicare in tutta Italia, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei casi di positività (dalla durata delle quarantene alle tempistiche per l’effettuazione dei tamponi).

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Ma i mezzi pubblici?

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Rassicura la preparazione di un nuovo protocollo unico, applicabile in tutta Italia (anche se resta da constatare l’effettiva efficacia di questo nuovo protocollo). Dall’altro lato, però, preoccupano alcune mancanze, vecchie ormai di un anno, che non sembrano sparite con il cambio ministro. Ricordiamo i tempi in cui l’ex ministra dell’Istruzione Azzolina ripeteva: la scuola è sicura, è tutt’intorno che il Covid contagia. In questo modo, Azzolina passava la palla – seppur indirettamente – al ministero dei Trasporti. Ora, quello stesso ragionamento, lo anticipa lo stesso ministro dell’Istruzione Bianchi, che nella giornata di ieri ha ribadito: “La scuola è sicura, ma non è sotto una campana di vetro. Quindi quel grado di responsabilità che tutti dobbiamo avere, non deve essere soltanto dentro la scuola, ma deve essere dappertutto, fuori e dentro questa grande comunità“. Questa volta l’attenzione cade sull’importanza della responsabilità personale, piuttosto che sulla questione trasporti. Ma basterà? A che punto sono i mezzi pubblici?

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Il comando dei Carabinieri per la Tutela della Salute pubblica nei giorni scorsi ha effettuato interventi di controllo su 693 veicoli e luoghi adibiti al trasporto pubblico, riporta il Fatto Quotidiano. In tutto, sono state trovate 65 situazioni di irregolarità riconducibili alla mancata esecuzione di pulizia e sanificazione, l’assenza di avvisi rivolti agli utenti con le norme di comportamento, l’assenza di distanziatori posti sui sedili e molto altro. In 32 casi sono stati rilevati casi di positività per la presenza di materiale genetico riconducibile al Covid prelevato tramite i tamponi di superficie. Tanto che Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale dei presidi, ribadisce: “Anche per quel che riguarda i mezzi di trasporto pubblico non è cambiato molto. C’è la paura di ritrovarci a dover chiudere tutto di nuovo, un nuovo stop che andrebbe a bloccare tutto di nuovo. Per questo siamo pronti a recepire eventuali nuove regole qualora il Cts decidesse di darne“.

E i tamponi?

Resta poi il tema dello screening di massa all’interno delle scuole, apparso tra le misure per la riapertura delle scuole ma poi sparito nel nulla. “Non abbiamo avuto alcuna informazione sul tracciamento per gli studenti, non c’è un’iniziativa in tale senso e temo che il problema sia nella difficoltà dell’organizzazione logistica per fare i tamponi“, spiega Antonello Giannelli. Un tema spinoso, sul quale si esprime il consigliere del ministro Bianchi, mettendo le mani avanti: “Il cosiddetto ‘piano Miozzo’ significa semplicemente studiare delle ipotesi, l’obiettivo è quello che ha rappresentato il presidente Draghi, cioè quello di cercare di riaprire. Poi se si può riaprire, campionando in zone particolarmente a rischio, questo si tratta di studiarloIl commissario Figliuolo è assolutamente disponibile a studiare ipotesi che vadano in questo senso, certamente non siamo matti abbastanza per immaginare una cosa del genere, pensi che ‘Lancet’ propone due test a settimana’’.

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E le fughe in avanti delle regioni?

Tutto questo senza considerare le continue fughe in avanti delle regioni, e quindi l’annoso rapporto Stato-regioni nella gestione della scuola. In questo quadro spicca la decisione autonoma del presidente della regione Puglia Michele Emiliano, che lascia riapre le scuole come da decreto ma lascia alle famiglie la possibilità di scegliere tra didattica in presenza o Dad. “Le istituzioni scolastiche della scuola primaria, della secondaria di primo grado, di secondo grado e Cpia devono garantire la didattica digitale integrata a tutti gli alunni le cui famiglie richiedano espressamente di adottarla, in luogo dell’attività in presenza“, recita l’ordinanza di Emiliano.

Insomma, l’impressione generale che potrebbe emergere da questo quadro è che ci siano stati passi in avanti, ma troppo timidi. E questi passi in avanti riguardano, tra l’altro, più una determinazione politica che un effettivo cambio passo nella gestione dell’emergenza Covid tra le aule. Dopo la giustamente criticata ministra Azzolina, ciò che cambia veramente – oltre al protocollo unico – è la convinzione nel portare avanti fino in fondo un cambio di priorità. Ma basterà?

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