Il Movimento 5 Stelle divorzia da Casaleggio, ma non è chiaro cosa diventerà

Le strade di Rousseau, e quindi di Casaleggio, e del Movimento 5 Stelle si sono separate ufficialmente. E non senza polemiche. Un cambiamento epocale per il progetto politico nato dall’incontro tra Grillo e Gianroberto Casaleggio.

Davide Casaleggio

La notizia: il Movimento 5 Stelle si sgancia definitivamente da Rousseau, e Davide Casaleggio abbandona il partito/movimento “sbattendo la porta”. “Nemmeno mio padre riconoscerebbe cosa è diventato”, avrebbe dichiarato il figlio di Gianroberto Casaleggio, uno dei due padri del progetto politico che in un decennio ha obbligato a rivedere l’impianto bipolare che l’Italia stava provando a darsi. Grillo e Casaleggio: quando si parlava di Movimento 5 Stelle il pensiero, fino a qualche anno fa, andava automaticamente o quasi a questi due personaggi. Nel bene e nel male, il progetto politico che è arrivato ad essere partito di maggioranza in parlamento e a governare – non da solo – il paese, è opera loro. Nessun dubbio su questo. Certo, con il passare degli anni ed il rafforzarsi del movimento sul territorio e sopratutto nelle aule di rappresentanza politica sono emersi altri volti, altri nomi. Di Maio, Di Battista, Fico, Lombardi, Crimi, Toninelli, Taverna: personaggi divenuti familiari agli italiani, che ormai rappresentano, volenti o nolenti, quello che è diventato uno dei principali partiti politici del paese. Ma sulla paternità del progetto politico, nessun dubbio: Grillo e Casaleggio.

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Che poi i 5 Stelle si arrabbiano, se vengono chiamati “partito”. Ma questo è. Correnti, scontri, contrapposizioni, lotte intestine, dibattito interno, epurazioni. Tutto quello che caratterizza un partito politico e che – anche in maniera deteriore – ne caratterizza il dibattito interno, nel M5S c’è. L’immagine di “cittadini al servizio di cittadini”, di “portavoce”, di movimento in cui “ognuno vale uno” ormai è più narrazione che realtà. E meno male! Perchè la politica ha regole – scritte e non scritte – che sono certamente perfettibili ma che comunque caratterizzano un impianto di ruoli, modelli, strumenti e modalità che vanno a tutelare la democrazia dell’Italia. Democrazia garantita dalla rappresentatività ampia: quella che veniva sbandierata proprio attraverso Rousseau, ma che tale non appariva proprio. Ed è emblematico che proprio intorno alla tanto discussa piattaforma si sia consumata la rottura tra il Movimento e Casaleggio, con tutto quello che rappresenta.
Giuseppe Conte

Qualche centinaio di migliaia di iscritti a deliberare (nemmeno tutti, poi) su decisioni relative alla vita di un partito/movimento che conta ormai milioni di elettori: questa era la rappresentanza che garantiva la piattaforma Rousseau: non certo il massimo, ad essere onesti. Ad esempio, citiamo testualmente “Il blog delle Stelle” sul voto che decise il sostegno del M5S al governo Draghi: “Alle ore 18:00 di oggi, giovedì 11 febbraio 2021, si è conclusa la consultazione su Rousseau attraverso la quale gli iscritti aventi diritto di voto hanno potuto esprimersi su un eventuale supporto a un Governo presieduto da Mario Draghi. Hanno espresso la propria preferenza 74.537 iscritti su una base di 119.544 iscritti aventi diritto di voto”.

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Poco più di 74mila persone hanno deciso su una questione relativa al sostegno politico ad un governo: la massima decisione possibile che un partito – che è anche quello maggioritario in entrambi i rami del Parlamento – debba prendere. Insomma, un sistema che non convinceva. Ma non è certo per questo motivo che il Movimento si è separato da Rousseau. La questione è del tutto politica: Giuseppe Conte sta aspettando, pronto ad assumere la leadership dei grillini (se si possono ancora chiamare così). L’ex premier è un “animale politico”, ed ha imparato molto bene a destreggiarsi nella palude delle ambiguità e dei compromessi della politica italiana. Ha imposto l’agenda politica, ha stabilito un’intesa con il Partito Democratico, ha offerto una prospettiva diversa ad un movimento nato per incanalare dissenso, rabbia, frustrazione e delusione ed ora “obbligato” ad offrire una prospettiva politica a chi l’ha votato. Cosa che fino ad ora è avvenuto a sprazzi. La scelta ormai era indifferibile: o Conte o quello che c’era prima. La separazione da Casaleggio (figlio) appare un pò l’assassinio e la cannibalizzazione del padre di freudiana memoria, necessaria a diventare padroni del proprio destino. Certo, resta Grillo a rappresentare un legame con il passato: ma il comico genovese, oltre ad aver manifestato negli ultimi tempi visioni di rinnovamento, al momento è impegnato a gestire la vicenda del figlio accusato di stupro. Staccarsi da Rousseau è l’inizio formale di un percorso di cambiamento: oltre alla gestione del senso di colpa – sempre per citare Freud – c’è ora da decidere cosa diventare. Se il governo Draghi dura fino alla fine della legislatura, c’è tempo fino al 2023 per farlo: non è tantissimo tempo. In mezzo ci sono le amministrative, che potrebbero essere un banco di prova: nel bene e nel male.

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