No Green Pass: protesta al porto di Trieste, ma “chi vuole lavorare entra”

Prosegue la protesta No Green Pass davanti ai cancelli del Varco 4 del Molo VII di Trieste: come annunciato i portuali (ma non solo loro) avrebbero manifestato la loro contrarietà nei confronti dell’obbligo di Certificato verde nei luoghi di lavoro. I manifestanti ribadiscono: chi vuole entrare a lavorare può farlo. Ma in questa e in altre realtà, alla prova dei fatti, i lavoratori che hanno deciso di entrare sono troppo pochi per garantire lo svolgimento di una regolare giornata lavorativa. 

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MeteoWeek.com – foto da Ansa

La folla No Green Pass che sta protestando davanti ai cancelli del Varco 4 del Molo VII di Trieste è – stando all’Ansa – abbastanza eterogenea: non solo portuali di Trieste, ma anche persone provenienti da Milano, Padova, Varese, lavoratori nel settore della sanità e nel comparto pubblico. In base a quanto emerso fino ad ora, lo sciopero avrebbe avuto inizio a mezzanotte ma le prime persone sarebbero arrivate intorno alle 6. Alle 8, il punto di svolta: le persone hanno iniziato ad aumentare visibilmente, fino ad arrivare ad essere circa 5mila, stando all’Ansa. “Il Porto funziona: ovviamente in alcuni passaggi ci saranno difficoltà e ranghi ridotti, ma funziona. Ho chiesto di tenere bassa la temperatura evitando scontri frontali per non danneggiare l’economia di un Paese, dato che danneggiare l’attività del Porto di Trieste significa danneggiare un grande numero di aziende che lavorano nell’indotto“, ha ribadito il presidente della Regione Fvg e della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, a SkyTG24. A ribadire la marcia indietro sul già annunciato blocco del porto, è stato lo stesso Stefano Puzzer, il portavoce della protesta, che all’Agi ha riferito: “Non c’è nessun blocco, chi vuole lavorare lo fa“. Effettivamente, al momento la protesta sembra mantenere toni pacifici, i contestatori più violenti vengono allontanati e i lavoratori che non intendono aderire alla manifestazione hanno regolarmente raggiunto il loro luogo di lavoro. La decisione di non procedere con un blocco definitivo sarebbe stata concordata dagli stessi rappresentanti dei portuali: “Ieri abbiamo fatto un’assemblea e abbiamo deciso che chi vuole entrare lo può fare perché alcuni nostri lavoratori hanno espresso la volontà di farlo“, ha detto Puzzer.

Nei fatti, però, il porto risulta ugualmente fermo a causa dell’alto tasso di adesione alla protesta: “Ottocento lavoratori sono fuori e un centinaio dentro, di fatto il porto oggi non sta funzionando. Sono entrate pochissime persone, della mia azienda solo due“, spiega all’Agi Michele Bussoni, un altro dei portuali. “Che il porto non funzioni si capisce dalle gru ferme e dal fatto che alcune navi sono state spostate in altri porti“. Soddisfatto per l’evoluzione della protesta Zeno D’Agostino, presidente del porto di Trieste, che durante la conferenza stampa di ieri si era detto contrario al blocco totale del porto. Intanto, tra i manifestanti, il mantra è sempre lo stesso: “Noi chiediamo l’abolizione del Green Pass, uno strumento economico e non sanitario che crea discriminazioni tra lavoratori e tra cittadini”. I portavoce ribadiscono l’intenzione di non voler cercare uno scontro aperto con il governo, ma un dialogo. Dall’altro lato, la Commissione Garanzia degli scioperi ha ribadito, tramite le parole del prefetto Valerio Valenti: lo sciopero dei portuali di Trieste è illegittimo, e per questo configura un reato a carico di chi partecipa.

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Cosa accade altrove

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Al porto di Genova – MeteoWeek.com (foto da Dire.it)

C’è da dire, però, che al di là della legittimità o meno della protesta, il senso della manifestazione di dissenso si sta estendendo anche ad altri luoghi. Questa mattina, ad esempio, qualche decina di No Green Pass ha cercato (senza successo) di bloccare il traffico in via Labicana, a ridosso di Roma. L’Ansa segnala anche una lunga coda di Tir provenienti soprattutto dall’Italia del Nord, bloccata in coda alle porte del Varco Etiopia del porto di Genova a causa di un presidio di un centinaio di lavoratori No Green Pass. Una manifestazione sarebbe stata segnalata anche davanti ai cancelli della Fiat Avio a Rivalta, alle porte di Torino, dove un centinaio di persone No Green Pass del movimento La variante torinese e I Si Cobas si sono dati appuntamento: “No al ricatto del Green Pass nei luoghi di lavoro” e “Il lavoro è un diritto, tamponi gratis“, appare scritto negli striscioni all’ingresso. Tranquilla, invece, la situazione al porto di Napoli, dove – stando a quanto confermato dalle sigle di categoria – “la grande maggioranza dei lavoratori è vaccinata“. Per quanto riguarda il porto di Venezia, Mauro Piazza, presidente della Nuova compagnia dei lavoratori portuali di Venezia, conferma all’Ansa: “E’ una giornata normale da noi non ci sono scioperi né blocchi ai varchi di ingresso“.

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Al di là della protesta

Al di là della protesta, a preoccupare, tuttavia, è l’alta percentuale di non vaccinati presente in alcuni settori specifici. Su un totale di 2,5 milioni di lavoratori non vaccinati, stando a quanto riportato dal Sole 24 Ore, che a sua volta riporta le stime delle sigle sindacali, tra i portuali potrebbe esserci ben un 40% di non vaccinati, stima che scende – ma non troppo – se si parla degli autotrasportatori (secondo Conftrasporto-Confcommercio, circa il 30% di loro non sarebbe vaccinato). La percentuale sale ulteriormente se si parla di Colf e badanti: secondo le stime risalenti a qualche settimana fa e riportate dall’associazione datoriale Domina, sarebbero almeno 600mila i lavoratori domestici senza Green Pass. Secondo Assindatcolf, il numero potrebbe salire addirittura a un milione, circa il 50% dei lavoratori.

A pesare, in questo caso, è anche la vaccinazione attraverso sieri non riconosciuti dall’Ema e dall’Aifa (come lo Sputnik), legata a sua volta all’alto tasso di lavoratori e lavoratrici stranieri. Nonostante i dati, tuttavia, il governo sembra voler tirare dritto. Il segretario della Cisl Luigi Sbarra nella giornata di ieri ha già fatto sapere che le principali sigle sindacali hanno chiesto un sostanziale abbassamento dei prezzi dei tamponi, le cui spese non devono ricadere sui lavoratori. Stando alle prime indiscrezioni, ad ogni modo, il governo non sta valutando un azzeramento dei costi per le aziende intenzionate a pagare i tamponi ai dipendenti, ma starebbe valutando d introdurre ulteriori deduzioni per le imprese interessate, rafforzando il credito d’imposta e portandolo dal 30 al 50%. Ma sulla questione si aspetta ancora una parola definitiva.

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