Due esplosioni vicino all’ospedale di Kabul: cosa accade in Afghanistan

A Kabul, in Afghanistan, la tensione non accenna a diminuire: due forti esplosioni sono state registrate nei pressi dell’ospedale militare Sardar Mohammad Daud Khan Hospital, stando a quanto confermato da Bilal Karimi, portavoce dell’Emirato Islamico. Stando agli ultimi aggiornamenti, i morti potrebbero essere almeno 19, 50 i feriti. Il punto della situazione. 

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Foto da Ansa – MeteoWeek.com

In Afghanistan la crisi umanitaria, politica, sociale ed economica non accenna a diminuire e le vittime continuano ad aumentare: due forti esplosioni sono state registrate a Kabul, nei pressi dell’ospedale militare Sardar Mohammad Daud Khan Hospital, che ospita 400 posti letto. La prima esplosione sarebbe avvenuta proprio di fronte alla struttura, mentre la seconda nelle vicinanze dell’istituto. A confermare la notizia è stato lo stesso Bilal Karimi, portavoce dell’Emirato Islamico, riportato dai media locali. Al momento è difficile stabilire un computo definitivo dei morti, ma le prime indiscrezioni sembrano confermare la tragicità di uno scenario che continua a moltiplicare azioni di violenza e decessi. Stando a quanto riportato da la Repubblica al momento sarebbero almeno 19 i morti, 50 i feriti. Emergency intanto twitta la notizia del ricovero di 9 persone ferite da arma da fuoco. Nel frattempo si cerca di ricomporre i pezzi dell’ennesimo tragico attacco: sui social un video postato da un giornalista locale mostra l’attentatore dopo aver ucciso un uomo che tenta di entrare nella struttura. “Che Dio ci protegga“, dice la voce registrata dal video all’interno dall’ospedale. E’ questo l’ennesimo appello disperato, ancora una volta emesso all’interno del più grande ospedale militare del Paese, attaccato l’ultima volta nel marzo 2017. In quell’occasione furono 100 le vittime di un attentato successivamente rivendicato dall’Isis. Ebbene, a distanza di quattro anni, il Paese dove la storia sembra ciclica torna a rivivere quei momenti, con nuove vittime. E la situazione non sembra destinata a calmarsi.

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Vecchie e nuove minacce terroristiche

Stando a quanto riportato sul Fatto Quotidiano da Amer Al Sabaileh, docente e direttore di Triageduepuntozero, di recente l’intelligence Usa avrebbe comunicato che Stato Islamico e Al Qaeda in Afghanistan potrebbero avere tutti gli strumenti per condurre operazioni internazionali e – potenzialmente – “attacchi agli interessi statunitensi” in meno di sei mesi. Ad aggravare la situazione, ci sarebbe il ritorno di strutture terroristiche in Afghanistan e non solo: Al Qaeda sembra ormai aver rafforzato le sue radici in Afghanistan, e ci sarebbero anche segni del ritorno dell’Isis in Iraq. Difficile capire che effetto avrà tutto questo sullo scenario globale e regionale, ma una cosa è possibile anticiparla: la situazione non promette bene. Al Qaeda, in queste condizioni, potrebbe rafforzare il suo potere anche in Siria, dove opera dal 2011 e l’Isis-K in Afghanistan potrebbe rendere il Paese un nuovo centro di fermentazione e organizzazione del terrorismo.

La crescita dell’Isis-K

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MeteoWeek.com (Photo by Paula Bronstein /Getty Images)

Stando a quanto riportato dal Wall Street Jourunal, diversi 007 afghani addestrati dalle forze militari statunitensi si sarebbero di recente uniti alle file dell’Isis-K. Il motivo? In un contesto di povertà dilagante e di “abbandono” del sostegno statunitense, i militari avrebbero deciso di cambiare fronte di combattimento per sfruttare una delle poche alternative di sopravvivenza. Il giornale statunitense ribadisce: il gruppo terroristico è relativamente piccolo, ma comunque in crescita. “In alcune aree del Paese l’Isis è diventata un’opzione assai attraente per le forze di sicurezza governative lasciate indietro o dimenticate. Se ci fosse stato un movimento di resistenza questi uomini si sarebbero uniti ad esso, ma in mancanza di alternative sostanziali l’Isis rimane l’unico gruppo armato spiega al Wsj Rahmatullah Nabil, ex numero uno del National Directorate of Security che ha lasciato l’Afghanistan prima dell’arrivo dei talebani. Parole che riconfermano un sospetto che da tempo appare tra le analisi dei commentatori: il contesto di crisi economica, sociale e politica rappresenterà un terreno fertile per il proliferare del terrorismo e questo – prima o poi – riguarderà anche noi.

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La crisi socio-economica peggiora le cose

Anche per questo motivo, di certo non per semplice filantropia, l’Afghanistan è stato uno dei temi al centro del G20 tenutosi nei giorni scorsi a Roma. Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche e responsabile del programma “Attori globali” allo IAI, l’Istituto Affari Internazionali, ha anticipato su Fanpage.it la portata della complessità del dossier: “I Talebani hanno ottenuto una vittoria completa, in questo momento non esistono zone dell’Afghanistan in cui sono attivi gruppi armati che fanno resistenza attiva al nuovo emirato. Però questo non vuol dire che il Paese sia stabile dal punto di vista della sicurezza. C’è un altro fronte di sicurezza, già aperto, che riguarda movimenti jihadisti più radicali ancora dei Talebani. Come ad esempio l’Isis-K“. La situazione diventa tanto più complessa se si pensa al fronte socio-economico: “L’Afghanistan è di fatto in una situazione di catastrofe umanitaria imminente. Il governo internazionalmente riconosciuto che è collassato ad agosto riceveva dagli aiuti esteri, in particolar modo americani, finanziamenti che coprivano il 75% della spesa”. Per quanto riguarda l’Afghanistan, “per tre quarti il governo internazionalmente riconosciuto di Kabul era finanziato da aiuti esteri. Questi sono venuti del tutto meno. In più, negli ultimi vent’anni la presenza degli Stati Uniti e internazionale aveva integrato l’Afghanistan nell’economia globale: questo vuol dire che la banca centrale afghana detiene titoli in dollari all’estero, che sono stati congelati da Washington nella prospettiva di creare una leva di influenza sul nuovo governo di Kabul“.

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Insomma, a livello economico, sociale e diplomatico sembrerebbe delinearsi una pericolosa impasse: la comunità internazionale occidentale sembra intenzionata a non consegnare i fondi direttamente nelle mani dei talebani, passando per le associazioni umanitarie; così facendo, però, crea una situazione di crisi e di stallo nella quale rende ancora più debole il governo talebano, offrendo le condizioni per il proliferare di altre forme di terrorismo. Qualsiasi modalità di intervento da parte dell’Occidente, presenta dei “contro” non indifferenti (sia che si passi per la legittimazione del governo talebano, sia che si passi per una sua delegittimazione). E nel frattempo, si aggiorna il calcolo delle vittime.

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