Reddito di base: l’Italia è unico paese europeo che non ne discute

Continua il viaggio di MeteoWeek attorno al concetto rivoluzionario di Reddito di base universale.

Questa volta parliamo dell’impegno del governo delle Barbados per trasformare il Reddito di base universale in realtà nei prossimi anni e del dibattito politico italiano su Reddito di base. Innanzitutto è il caso di ricordare che il Reddito di base universale rappresenta un reddito inteso come diritto inalienabile dell’uomo. Dunque chi propone il reddito di base universale ritiene che lo Stato debba necessariamente garantire un reddito ad ogni cittadino indipendentemente dalla sua posizione economica e lavorativa.

Dunque si tratta di una misura molto diversa dal reddito di cittadinanza che è legato all’ISEE e alla ricerca attiva di un lavoro. Come abbiamo visto, in sede Europea c’è un referendum che chiunque può firmare on-line affinché il Parlamento Europeo prenda in considerazione l’idea di approvare una legge sul reddito di base universale in tutta Europa. Ma mentre in tanti paesi europei sono già partiti dei progetti pilota e degli esperimenti in questo senso, il governo delle Barbados ha annunciato di stare lavorando ad un piano che renda possibile il reddito di base universale nei prossimi anni.

Nel resto d’Europa se ne discute

Si tratta evidentemente di un piano molto ambizioso e dalle ricadute sociali molto importanti per quel paese. Ma vediamo come mai il dibattito politico in Italia è così diverso rispetto a quello negli altri paesi europei sul fronte del reddito di base universale. In realtà l’Italia è incredibilmente indietro agli altri paesi dell’Unione Europea un po’ su tutte le tematiche sociali. Mentre la Germania approva il salario minimo da 12/euro l’ora, in Italia il salario minimo non esiste proprio ed è uno dei pochissimi paesi dell’Unione Europea a non prevedere uno strumento del genere.

Una forte arretratezza nei punti di riferimento

Ma quello che più rileva è che mentre gli altri paesi europei hanno (chi più, chi meno) ormai assorbito da tempo le suggestioni che provengono dal mondo accademico internazionale circa i vantaggi generalizzati e diffusi di un reddito di base e di conseguenza ragionano su l’introduzione dello stesso dando per scontato che si tratti di una misura positiva ancorché non semplice da applicare, in Italia tutto questo non esiste. L’ambiente universitario e politico italiano sono rimasti sostanzialmente impermeabili al concetto di Reddito di base universale per cui le università economiche diversamente dalle altre straniere non ne parlano e non se ne occupano e la politica lo fraintende completamente.

Università e politica fuori dal dibattito internazionale

Più o meno tutti i partiti politici italiani quando si parla di reddito di base universale fanno spallucce e rispondono con la parola “sussidi”. Sostanzialmente rispondono ad una proposta del XXI secolo con un frame culturale e concettuale da metà del ventesimo secolo. Sarebbe come parlare di diritti del lavoratore o di scuola dell’obbligo ad un signorotto feudale: tempo perso per mancanza di riferimenti condivisi. Questo è un immenso problema per il nostro paese afflitto da una povertà sempre più dilagante e ora anche da un’inflazione che rende ormai particolarmente drammatica la vita di troppi. Vi basterà cercare su Google Basic Income Studies oppure basic income research per scoprire quanto sia vasto, articolato e profondo lo stato delle ricerche internazionali su questo strumento.

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Un mondo accademico che studia questa rivoluzione e come applicarla, offre le basi concettuali ed argomentative alla politica per proporla alla gente. Ma qui da noi tutto questo non esiste. Da noi ci sono solo padri di famiglia che lavorano come camerieri a 700 euro al mese con contratti che durano pochi mesi. E questo è anche considerato giusto e salvifico da quel grande partito trasversale che parla con ieratica e bucolica enfasi dello “spaccarsi la schiena”.

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