Uccise a colpi di cacciavite e martello: le armi dell’architetto per il massacro della famiglia

Una modalità agghiacciante quella scelta dall’architetto che ieri ha massacrato la sua famiglia prima di tentare di togliersi la vita.

Un delitto pianificato e preparato. E dopo il massacro la corsa sul balcone per dare al vicinato l’annuncio della strage.

Alessandro Giovanni Maja, l’architetto-imprenditore di 57anni – Meteoweek

Aveva preparato e pianificato la strage Alessandro Giovanni Maja, l’architetto-imprenditore di 57anni che nella notte tra martedì e mercoledì ha cercato di sterminare tutta la famiglia a Samarate (Varese), paese di 16 mila anime non distante dall’aeroporto di Malpensa. Erano le quattro di notte quando Maja ha sistemato sul tavolo le armi casalinghe da utilizzare nella strage. Sul tavolo c’erano un cacciavite, un martello, un coltello e un trapano.

Agghiacciante la modalità di uccisione. Prima ha ucciso la moglie Stefania col cacciavite, usando il martello per batterlo. L’ha assassinata così, mentre riposava sul divano, al pianterreno. Poi, con le stesse modalità, ha ammazzato anche Giulia, la figlia di 16 anni che dormiva in camera al piano superiore. Era convinto di aver ucciso così anche il figlio maggiore, Nicolò, di 23 anni, anche lui a letto nella stanza.

Le urla dal balcone dopo il massacro

Stefania Pivetta (56 anni) e la figlia Giulia (16 anni), morte nel massacro della villetta di via Torino a Samarate – Meteoweek

A quel punto mancava solo l’ultima parte del piano: sopprimere se stesso. Usando trapano e coltello.
Maja però è riuscito solo a ferirsi ai polsi e all’addome, prima di uscire di casa in mutande per andare a urlare in via Torino.

Così si è affacciato sul balcone per dare l’annuncio a tutto il quartiere: «Finalmente ci sono riuscito!», «Li ho uccisi tutti, bastardi!» avrebbe urlato, in preda al delirio, attirando l’attenzione dei vicini che lo hanno visto ripetere la sequenza della strage, esultandone.

Inizialmente, a caldo, l’architetto ha ammesso le sue responsabilità nella strage: di fatto, una confessione. Ma non si è ripetuto, a quanto si sa, al momento dell’interrogatorio in ospedale. Le ferite che si era procurato non erano profonde, così che resta difficile capire se il suo fosse un reale tentativo di suicidio o una messinscena.

Il figlio primogenito versa in condizioni disperate

La villetta a due piani con giardino e piccola piscina dove si è consumata la strage – Meteoweek

In passato c’erano state liti nella villetta a due piani al civico 32. Lo scenario era quello di un rapporto ormai consunto tra marito e moglie, avviato inesorabilmente verso la separazione. Ma nulla che fosse arrivato alla denuncia o a richieste d’aiuto alle forze dell’ordine. E ancor meno che facesse presagire una strage. Neanche i vicini avevano avuto sentore di tensioni familiari.

Maja, a quanto si apprende, nutriva del risentimento verso la famiglia, alla quale era convinto di avere dato tutto. E di essere stato «ringraziato» con l’invito a levarsi di torno e lasciare in pace la moglie Stefania, che dopo un lungo periodo senza occupazione aveva cominciato a lavorare come venditrice ambulante di prodotti di bellezza, così da non dover dipendere esclusivamente dal marito.

Fatto sta che quando sono arrivati i carabinieri, verso le 7:30, la casa era un lago di sangue. Il figlio primogenito è gravissimo. E i colpi ricevuti al cranio potrebbero averne compromesso la funzionalità neuro-motoria. Non risultano al momento tracce di droga. Resta però da capire se Maja non avesse assunto sostanze stupefacenti quando preparava il massacro. Oppure se fosse seguito da uno psichiatra. Le autopsie aiuteranno a ricostruire con più precisione l’andamento dei fatti.

Impostazioni privacy