Roxy Bar, Antonio Casamonica condannato in appello a sei anni

Sentenza che ancora una volta evidenzia il metodo mafioso per Antonio Casamonica, condannato in appello a sei anni di reclusione.

 

Arrivata la condanna in appello a 6 anni di carcere per Antonio Casamonica sotto processo per l’aggressione avvenuta lo scorso mese d’aprile al Roxy Bar, in zona Romanina, alla periferia di Roma. Riconosciuta anche in secondo grado l’aggravante del metodo mafioso per le violenze messe in atto contro il titolare del bar ed una giovane disabile. In primo grado, l’imputato era stato condannato a sette anni. Presente al momento della lettura della sentenza la sindaca di Roma, Virginia Raggi, impegnata in prima persona nella lotta alla criminalità organizzata nella capitale.

A maggio, per la stessa aggressione, era stata confermata in Appello, anche qui con il riconoscimento dell’aggravante mafiosa, la condanna con rito abbreviato per tre appartenenti al clan dei Di Silvio: Alfredo Di Silvio (4 anni e 10 mesi), il fratello Vincenzo (4 anni e 8 mesi) e il nonno dei due, Enrico (3 anni e 2 mesi), che il giorno dopo il raid al bar andò dai due aggrediti facendo il nome dei Casamonica per tentare di convincerli a ritirare la denuncia.

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“La sentenza di Appello – ha dichiarato la sindaca di Roma Virginia Raggi – conferma la condanna di Antonio Casamonica, ma soprattutto che quella di Casamonica è stata un’aggressione di stampo mafioso. Noi siamo accanto ai cittadini onesti – ha continuato la Raggi – in questo caso accanto a Roxana. Siamo accanto alle persone come lei – conclude – che non si piegano davanti alla criminalità e davanti alla mafia”.

A Maggio, Il procuratore generale Andrea De Gasperiis, nel chiedere la conferma delle pena, parlò di “Una ostentazione del potere del clan sul territorio”. Elemento ritenuto chiave anche dal gip Maria Paola Tomaselli, che nel giudizio abbreviato di primo grado aveva considerato che i tre Di Silvio si erano mossi con fare da clan, perché avrebbero agito per “ribadire il loro dominio sulla zona” ed “eliminare chiunque si ponesse rispetto ad esso come corpo estraneo, insubordinato o non allineato alle regole da loro imposte”.

Il magistrato, in quel caso aveva puntualizzato che “In una situazione di tal fatta, poco importa che l’esistenza di un clan Casamonica non sia stata ancora giudizialmente accertata con sentenza passata in giudicato, non solo perché la sua presenza nel territorio indicata è affermata da due collaboratori di giustizia e dalle stesse vittime, ma soprattutto perché la sussistenza della contestata aggravante è sufficiente che venga evocata”.

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