La Città Incantata | ecco perché rivedere l’immaginifico film di Miyazaki

In occasione dell’arrivo su Netflix di gran parte della filmografia dello Studio Ghibli, ricordiamo il film che forse più di tutti ha contribuito a sdoganare il cinema d’animazione giapponese nel mondo: La città incantata.

Il film capolavoro del 2001 ottenne l’Orso d’oro a Berlino (la prima volta per un cartone animato) e poi l’Oscar al miglior film d’animazione, consentendo al suo creatore Hayao Miyazaki di diventare finalmente popolare anche fuori dal Giapponese. Dopo La Città Incantata, tutti i film dello Studio Ghibli cominciarono ad essere regolarmente distribuiti anche da noi.

La Città Incantata, un punto di svolta

Alla base del film una trama molto semplice, una di quelle in grado di trasformare la propria linearità in metafora: la giovanissima Chihiro non vuole saperne di traslocare, allontanandosi così dai propri amici di sempre, ma non può far nulla per impedire il trasferimento. Quando la sua famiglia è in viaggio verso la nuova residenza, il padre compie una deviazione non prevista, terminando davanti ad un tunnel misterioso.

Nonostante le rimostranze di Chihiro, i genitori sceglieranno di attraversare il tunnel e giungeranno così in un parco di divertimenti apparentemente abbandonato. Gli adulti diventeranno maiali a furia di mangiare (un altro classico di Miyazaki) e Chihiro, per riscattare la loro umanità, dovrà lavorare in questo luogo popolato da figure fantastiche, scoprendo che anche un’altra persona è lì intrappolata con lei.

Il genio visionario di Miyazaki

Giunto dopo uno dei moltissimi annunci di pensionamento di Miyazaki, La città incantata contiene in sé tutti i temi principali del cinema del maestro giapponese e li mette in scena con un’abbondanza di idee che basterebbero per cinque o sei lungometraggi. Le forme che gli spiriti sono in grado di assumere sono potenzialmente infinite e questo permette a Miyazaki di sfogare tutto il suo talento immaginifico nel disegnare gli spettri che abitano le terme di Yu-baba. La colonna sonora di Hisaishi Joe, tra le più ispirate e struggenti di quelle composte per i film dello studio giapponese, sottolineano perfettamente i sentimenti dei personaggi e trascendono le immagini per porsi come elemento autonomo della narrazione.

Facendo tesoro della lezione del precedente Principessa Mononoke, anche La Città Incantata alterna lo sfrenato dinamismo delle sequenze di azione, come quella di Haku inseguito dai piccoli uomini di carta, a momenti di statica contemplazione, nei quali Chihiro riflette su se stessa e così il pubblico sulla condizione universale della protagonista. Nella visione corale del film, tutti i personaggi, anche le comparse che occupano lo schermo solo per qualche minuto appena, svolgono una propria funzione e sono indispensabili ad uno scenario che vive grazie alle figure che lo abitano.

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Chihiro come Alice nel Paese delle meraviglie

Non a caso spesso paragonato ad Alice nel Paese delle meraviglie di Lewis Carroll, La Città Incantata si pose fin da subito come nuovo modello cinematografico del racconto di formazione pedagogico. Chihiro è costretta ad affrontare prove sempre più difficili per compiere definitivamente quel processo di maturazione al termine del quale rimarrà un insegnamento da conservare, valido anche nel momento in cui svanisce “l’incanto”. Ancora una volta Miyazaki sembra rifarsi ad archetipi narrativi già conosciuti e adattati in occidente (la piccola Chihiro non può che ricordare la Dorothy de Il Mago di Oz) per filtrarli attraverso uno sguardo unico e in grado di cambiare la percezione delle cose che vengono osservate.

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