Coronavirus, l’immunologo: “Presto per cantare vittoria”

Alberto Mantovani è un immunologo di fama mondiale: “Incoraggiante il calo dei contagi, ma è presto per esultare”.

Bene i dati che indicano un decremento dei contagi, ma piano con l’ottimismo. E’ questa la prima riflessione che l’immunologo Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas e professore emerito dell’Humanitas University, condivide nel corso di una intervista su la Repubblica. “Siamo sulla strada giusta. Ma credo sia ancora pericoloso cantare vittoria, perché abbiamo a che fare con un nemico che non conosciamo. E perché le partite si vincono sempre al novantesimo” spiega lo scienziato in relazione agli ultimi dati, che indicano un calo dei contagi. L’unica soluzione, anche secondo lui, è continuare così, con le misure draconiane in atto. Tanto al Nord, più colpito finora, quanto al Sud: in un secondo momento potremo ragionare su come mitigare il contenimento, ma non ancora”.

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Mantovani ovviamente interviene anche sull’aspetto più scientifico dell’emergenza:  “Dal punto di vista della ricerca, un fronte da esplorare è quello della immunità e degli anticorpi: il più grande esperto al mondo di coronavirus, Ralph Baric, anche sulla base dell’esperienza della Sars ritiene che il Sar-CoV-2 lasci una “traccia immunologica” nel nostro organismo almeno per un arco che va da 6 a 12 mesi. È dai saggi degli anticorpi – sottolinea lo scienziato – ossia dalla loro misurazione, che si potrà iniziare a “tracciare” il virus nella popolazione. Dal punto di vista epidemiologico, ma non solo”.

Interessante la sua valutazione riguardo i tamponi: Alberto Mantovani ricorda che l’analisi di un tampone è un procedimento complesso, che richiede circa 4 ore ma fotografa solo un istante, tanto che deve essere ripetuto più di una volta. I falsi negativi sono tanti, questi tipi di test hanno dei limiti. Non a caso si stanno conducendo varie sperimentazioni per trovare nuovi metodi, come quello dell’azienda DiaSorin, che ha sperimentato un test, appena approvato dalla Fda statunitense, che consente di avere il risultato in un’ora. Detto ciò, pur con tutti questi limiti, credo che sia importante garantire agli operatori la possibilità di fare i tamponi: sono la nostra prima linea, vanno sostenuti“.

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Il professor Mantovani entra nel merito anche rispetto la sperimentazione dell’Avigan, il farmaco usato in Giappone di cui si è tanto parlato in questi giorni: “In questo momento si sta facendo medicina di guerra – risponde l’immunologo – nell’emergenza vengono usati strumenti terapeutici diversi, pur senza avere evidenza chiara del loro funzionamento, con l’obiettivo di aiutare un paziente. Il caso degli antivirali, quale è l’Avigan, è proprio questo. Non è l’unico: ci sono altri due anti-retrovirali, la combinazione anti-Hiv Lopinavir/Ritonavir, che è stata utilizzata in Cina per curare il Covid-19. Uno studio appena pubblicato sul New England of Journal of Medicine ha però dimostrato che nei pazienti con uno stadio avanzato della malattia non sono utili”.

Ultima riflessione sul vaccino. Quando potremo averlo? “Oggi sono in corso una ventina di studi” spiega Mantovani, “tra cui uno a Pomezia, dove già hanno sperimentato con successo il vaccino contro Ebola. In modo realistico, ci vorranno almeno 18 mesi prima di avere un vaccino. Che poi – conclude Mantovani – dovrà essere prodotto non in milioni, ma miliardi di dosi”.

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