Coronavirus, la testimonianza da Cremona: “100 giorni di inferno”

Una dottoressa di Cremona, in attività all’ospedale cremonese, racconta l’esperienza nel pieno dell’emergenza Coronavirus. “Chiamavo i pazienti per nome, spero di riabbracciare la mia famiglia”.

ospedale cremona coronavirus

Uno dei momenti più iconici dell’emergenza Coronavirus in Italia, è arrivato dall’ospedale di Cremona. Stiamo parlando della foto che ritraeva un’infermiera, Elena Pagliarini, riversa sulla sua scrivania dopo uno dei tanti turni intensi ed estenuanti in corsia. L’autrice dello scatto è una sua collega, Francesca Mangiatordi, che è arrivata fin da Altamura per prestare servizio presso il nosocomio lombardo, uno dei centri nevralgici dell’emergenza. Tra le altre cose, la Pagliarini è stata nominata “Cavaliere al merito” dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Francesca Mangiatordi ha raccontato la sua esperienza ai colleghi della Gazzetta del Mezzogiorno. La dottoressa lavora all’ospedale di Cremona da due anni, ma i cento giorni in preda all’emergenza Coronavirus saranno sicuramente indimenticabili. “Tutto è iniziato il 20 febbraio – ha esordito Francesca – . La difficoltà era anche quella di capire come affrontare le conseguenze dell’infezione per via dell’interessamento di altri organi. La situazione è poi decisamente migliorata. Il pronto soccorso è la via di accesso all’ospedale e ora il numero di pazienti Covid è decisamente ridotto. In una giornata li contiamo sulle dita di una mano”.

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La dottoressa ha fatto sapere che, per fortuna, in ospedale non sono mai mancati i dispositivi di protezione individuale. “Una mia collega che lavorava in Spagna – ha svelato – mi ha raccontato che loro usavano la stessa mascherina per 15 giorni consecutivi e per fortuna da noi non è mai accaduto”. Il problema principale riguarda la pressione sui reparti, visto che, come racconta Francesca, “in un giorno solo abbiamo avuto 218 accessi e in media ne entravano 180”. Quindi non c’erano posti letto per gli ammalati, che devi comunque “sistemare nel miglior modo possibile e soprattutto dare un’assistenza dignitosa”.

Lo scatto emblema dell’emergenza – meteoweek.com

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Così è iniziato il grande lavoro degli infermieri, che hanno “tirato fuori lettini e brandine per gli ammalati con 40 di febbre”. Ma i problemi persistevano, come rivela la dottoressa, che parla di ammalati che collassavano e “non ce la facevano a stare in piedi”. I corridoi del pronto soccorso erano stracolmi, ma per fortuna è morta poca gente: “In tanti sono andati in Rianimazione. Per molti di loro l’evoluzione è stata verso il peggio”. E la dottoressa Mangiatordi svela la sua strategia per sollevare gli ammalati: “Non li chiamavo per cognome ma per nome, per tranquillizzarli. Cercavamo di rassicurarli ma i dati clinici spesso erano drammatici”.

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E poi c’è la storia della foto all’infermiera Elena, uno degli emblemi dell’emergenza Coronavirus. La dottoressa svela com’è nata l’idea: “Elena lavorava con me, la notte tra il 7 e l’8 marzo. Quella notte ci fu la fuga dei meridionali dal nord. Lei era davvero provata perché aveva fatto un turno la notte prima. Ha lavorato con le lacrime agli occhi continuamente. Cercavamo di darci forza a vicenda. Ci sentivamo impotenti”. E poi c’è la famiglia, lontana da lei ma non per molto: “Mio padre ha la demenza senile e mia madre si prende cura di lui. Stanno ad Altamura. Spero di riabbracciarli a fine mese”.

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