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Politica

Lockdown, decreti e regole: contro il Coronavirus sarebbe bastata una corretta comunicazione?

Come si comunica l’emergenza? Quanto è importante il ruolo della comunicazione nelle situazioni di rischio? Quanto le modalità della comunicazione posso influire sui comportamenti delle persone?

Una corretta comunicazione al posto di lockdown, Decreti, regole, multe. Non sarebbe bastata, forse non totalmente, ad arginare una pandemia senza precedenti recenti. Una pandemia che sta cambiando il mondo, in bene o in male è presto per dirlo. Ciò che si può dire, invece, è che la comunicazione istituzionale gioca un ruolo di prim’ordine nella gestione delle emergenze. Specie quando le emergenze connettono istituzioni e cittadini: le istituzioni, il cui compito è quello di inviare un messaggio; i cittadini, il cui compito è quello di riceverlo. Tutto sta, però, nel come, nelle modalità di ricezione.

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Durante le emergenze, è importante che le comunicazioni siano rapide ma anche chiare. Gli ascoltatori o lettori possono infatti comprendere il messaggio, comprenderlo solo in parte oppure fraintendere completamente quanto detto. Di conseguenza, attivare comportamenti poco chiari, ambigui, confusi. Nel nostro caso specifico, molte persone – fin dalle prime comunicazioni di marzo, quando la situazione era forse più confusa di adesso – si sono trovate a dover gestire messaggi poco diretti perché, di base, i messaggi venivano forniti in maniera poco chiara. Si è ironizzato spesso sulle Conferenze del Premier Giuseppe Conte; conferenze alle quali spesso seguivano ironie sul web o articoli dal titolo: “Cosa ha detto Conte”. Insomma, in una situazione confusa di per sé, è necessario che arrivi maggior chiarezza possibile. Specie se da quella comunicazione dipendono i nostri futuri comportamenti. 

Cosa è accaduto in questi mesi

Senza soffermarci nel dettaglio sulle specificità della comunicazione di emergenza – argomento che richiede ben altro spazio – possiamo qui dire che le reazioni emozionali al disastro, come l’angoscia o la paura, sono normali ma dipendenti, anche, nel modo in cui il disastro ci viene annunciato. Siamo stati invasi in questi mesi, piuttosto, da comunicazioni contrastanti provenienti anche da fonti autorevoli: medici, scienziati, virologi, politici. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità – che dovrebbe essere un punto di riferimento per i cittadini in prenda al panico – ha fornito spiegazioni contrastanti. E neanche i vari Decreti che si sono susseguiti nel tempo – neanche il tempo di emetterne uno che ne spuntava un altro – hanno aiutato. Cosa significa questo?

Significa che anche – ma non soltanto – a causa delle modalità comunicative in questa situazione pandemica le persone potrebbero aver attivato comportamenti ambigui, rifiutando talvolta le misure restrittive, raggirandole o prendendole sotto gamba. Così come, se molti non credono all’esistenza del Coronavirus, questo potrebbe derivare da un’incertezza di fondo unita ad altre questioni etiche, politiche, morali. Di base, abbiamo avuto una perdita di energia, ci siamo sentiti fragili e deboli nei momenti successivi allo shock. E’ subentrata poi l’incertezza, la tristezza, la nostalgia, il senso di colpa, il disagio, la vergogna e nell’alternarsi di speranza e disperazione non abbiamo saputo cosa fare. O se l’abbiamo fatto spesso non ne abbiamo colto il senso.

Dati di discutibile interpretazione,  da consigli di comportamento spesso esagerati e contradditori, privi di sicuro riferimento, suggeriti da funzionari, giornali, esperti non hanno fatto altro che fomentare la confusione. Invece, una comunicazione chiara ed efficiente – che mette in evidenza il pericolo senza trascendere nel panico – potrebbe indurre le persone a mantenere comportamenti corretti: “Metto la mascherina, perché così mi proteggo e non perché me lo dicono gli esperti”. Oppure: “Mantengo la distanza, perché così faccio un bene a me e a chi mi sta intorno”. E ancora: “Riduco le uscite, non perché dall’alto mi viene imposto, ma perché so di essere più al sicuro”. Certo, i nostri comportamenti dipendono anche, e molto, dal modo in cui siamo fatti e abituati; dalle nostre convinzioni; dalle nostre usanze. Ma non è assurdo pensare che modalità diverse di invio di messaggi avrebbero potuto determinare modalità diverse di ricezione.

 

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