Coronavirus: il percorso (a ostacoli) per tornare alla normalità

Moto del virus, genetica, lockdown, vaccino, anticorpi ed economia. Ecco tutte le tappe che ci porteranno alla fine dell’incubo Covid

normalità post covid

 

Come si muove il virus? E quale sarà il percorso che ci porterà a sconfiggerlo? Quali gli ostacoli? Sono alcune delle domande a cui il saggista Sandro Modeo ha provato a dare una risposta in una lunga e interessante analisi pubblicata sul Corriere della Sera.

Il ritorno alla normalità

Secondo Modeo la fine dell’incubo Covid non sarà netta e si porterà dietro alcuni strascichi, condizionando per mesi istinti e movimenti di tutti. Ma l’uscita dal tunnel è una vera e propria «necessità psicologica» e allo stesso tempo una sorta di «“tagliando” della situazione come tentativo di ridisegnare in prospettiva questa cattività senza fine». Ritorno alla normalità che passa per sei tappe: il movimento del virus, il ruolo della genetica, i lockdown, il vaccino, gli anticorpi monoclonali e il rapporto salute–economia.

1. Come si muove il virus

La pandemia di Covid-19, come altre pandemie, ha un andamento caratterizzato da periodicità e sviluppi. «Anche per Sars-CoV-2 – scrive Modeo – sono state trovate diverse ciclicità o invarianze, tra andamenti esponenziali e non, similarità con la “funzione gompertziana” e persino cicli periodici “esatti” come quello, controverso, dei “70 giorni” proposto dal matematico Isaac Ben Israel. La loro efficacia è indubbia, per esempio nel quantificare l’incidenza delle diverse gradazioni di lockdown (zona gialla, arancione e rossa, ndr) sia sulla durata che (soprattutto) sull’intensità di una curva stessa, indicate rispettivamente sull’ascissa e l’ordinata del grafico standard».

Il continuum riesce così a dare delle spiegazioni ad alcuni punti oscuri. Si è chiarito ad esempio che la pandemia è caratterizzata da un unico flusso e da diverse «ondate», oppure si è riusciti a spiegare il differente andamento e la discontinuità registrati in paesi come gli Stati Uniti rispetto a quelli europei. Ma anche le asincronie delle emergenze in alcune aree nostrane. Modeo sottolinea infatti che «tendenzialmente, aree più colpite nel primo flusso lo sono meno nelle recidive (vedi Bergamo o Lodi) e viceversa (il distretto di Monza-Brianza o il Veneto tout court). E questo per un evidente acquisizione o meno di una (parziale) immunità di gregge».

2. Il ruolo della genetica

L’autore precisa che l’incisività della genetica sulla «cattiveria» del Covid va approfondita su due versanti: quello del virus e quello umano. Sul primo versante «con lo studio delle mutazioni più significative per break di contagiosità secondo aree e fasi pandemiche, come l’ormai nota D614G o la recentissima N501Y cui si riferiva in conferenza stampa Boris Johnson». Su quello dell’ospite umano, invece, «con la focalizzazione della maggiore suscettibilità a Sars-CoV-2 sia a livello di genetica delle popolazioni che di tratti individuali».

«Conferme (o affinamenti) in questa direzione potranno contribuire a rimodulare tante risposte a domande assillanti: in quanto aplogruppo del cromosoma Y, R1b potrebbe essere tra i cofattori decisivi nella maggior mortalità tra pazienti maschili; e in quanto diffuso in tutte le aree ispaniche e anglosassoni, potrebbe aiutare a spiegare i primi posti della “classifica” Johns Hopkins. Tra questi, il drammatico primato dell’Italia tra i Paesi più colpiti», ritenuto «discutibile» visto il caso spagnolo.

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3. La scelta dei lockdown festivi

Continua Modeo: «Tra le implicazioni del continuum ce n’è una che introduce direttamente ai prossimi giorni: il rapporto con la stagionalità, cioè la pressione ambientale che incide, ancora una volta, sia sull’agente patogeno che – simmetricamente – sull’ospite umano, la cui maggiore “vulnerabilità immunitaria” in certi periodi (il passaggio dall’estate all’autunno) è dimostrata da alterazioni di indicatori come la melatonina o la vitamina D». Oltre al contrasto tra gli spazi aperti e quelli chiusi, «coi primi decisivi nella dispersione di droplet e aerosol. È anche questo rapporto, infatti, a spiegare come la pausa estiva», che qualcuno ha scambiato per la fine, «sia durata per un tempo relativamente lungo (4/5 mesi), con la controprova plastica fornita da situazioni anomale come quelle delle discoteche e dei luxury sardi, tra i pochi focolai del periodo».

Per il saggista è «improbabile» che «l’andamento intrinseco del virus distanzi la terza ondata». Perciò «sarebbe quanto meno imprudente un vero allentamento della profilassi epidemiologica. Anche perché va sempre tenuto della possibile incidenza delle mutazioni, come quella inglese». «Tra la prima e la seconda ondata, un calo di tensione è stato non solo comprensibile ma in larga parte giustificato; con qualche eccezione non c’è un vero nesso tra comportamenti irresponsabili dell’estate e l’innesco-irradiazione del nuovo flusso pandemico. Quell’innesco, secondo diversi studi, risponderebbe a precisi timing ambientali e a precise dinamiche di contagio. In quell’intervallo, semmai, colpisce il letargo istituzionale a ogni livello» sia governativo che regionale.

«E colpisce, semmai, il ritardo oggettivo nel leggere/anticipare la terza ondata: le famose tre settimane perse dal 12 ottobre al 3 novembre, dal giorno dell’impennata–break a quello degli automatismi cromatici. Ora, invece, la scelta di un lockdown più o meno radicale è di fatto obbligata, tanto da essere stata adottata da molti Paesi europei: pena una risalita di flusso che ri-eserciterebbe sugli ospedali, da gennaio in poi, una pressione intollerabile».

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4. I vaccini

Sui tempi del vaccino l’autore afferma che, salvo imprevisti, «possediamo già una scaletta orientativa, a partire da quella calibrata sull’Italia: la successione per categorie vaccinate e per tipologia di vaccino; la possibile conclusione di una prima fase di somministrazioni (fine febbraio) e quella di una copertura più significativa per un abbozzo di immunità di gregge (10–15 milioni di dosi alla primavera inoltrata); le percentuali per un’immunità effettiva e le eventuali complicazioni».

In questo modo «parrebbero presto diradarsi i dubbi su un interrogativo centrale, quello sull’eventuale contagiosità dei vaccinati, dato che il vaccino Moderna sembrerebbe vanificarla, e quelli di Pfizer e Sanofi hanno mostrato la stessa proprietà negli animali». Ciononostante un mix di bufale e resistenze alimentano ancora il plotone dei no-vax e lo scetticismo attorno alla somministrazione del siero.

«Tra le cause, l’enfasi mediatica puntualmente concessa agli aspetti “spiacevoli”, come le reazioni avverse di carattere allergico – afferma il saggista –. Poco importa che tutti i casi siano rientrati in; che le istituzioni sanitarie, come il CDC di Atlanta, abbiano subito imposto un più severo monitoraggio post–somministrazione di 30 minuti, risultato efficace; che la Pfizer abbia subito chiarito come nella fase 3 dei trials fossero stati esclusi pazienti con storie allergiche, così rinforzando la decisione già presa dall’agenzia del farmaco britannico di escludere dalla profilassi quella categoria. Il danno — come temuto da Anthony Fauci – rischia di essere già fatto».

E aggiunge: «La vulgata rischia di tradursi in allarme iperbolico e ingiustificato, quindi in potente fattore di dissuasione». Ma per l’esperto la resistenza alla somministrazione non rappresenta l’unico possibile fattore di acuizione della «vischiosità» del Covid–19: «Potrebbe incidere anche un comportamento disfunzionale dei vaccinati, cioè troppo “leggero” nel periodo intercorrente tra l’inoculazione e un’effettiva protezione immunitaria: il vaccino Pfizer-BioNTech, ad esempio, comincia ad agire una dozzina di giorni dopo la prima dose, ma raggiunge la copertura dopo un mese (una settimana dopo la seconda). Un comportamento che potrebbe saldarsi pericolosamente alla più generale leggerezza profilattica e alle insidie delle mutazioni, vanificando in parte la strategia vaccinale».

A tal proposito – citando le scoperte sull’incidenza degli orari di Janet Lord e Akhilesh Reddy – ritiene probabile che «i vaccinati rispondano meglio al mattino perché è quello il momento in cui sono più attivi alcuni recettori–chiave della risposta immunitaria innata (i cosiddetti toll-simili); e questo tanto più negli anziani, in cui il decremento dei leucociti (non di tutti i tipi, per la verità) comporta già un intrinseco indebolimento immunitario».

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5. Gli anticorpi monoclonali

Scrive il saggista sul Corsera: «Semplificando brutalmente, i MAb sono l’elaborazione ingegnerizzata di anticorpi naturali prodotti dal sistema immunitario dei pazienti contro l’invasione di uno specifico patogeno o un altro agente esterno all’organismo (per esempio una crescita tumorale). Dove l’elaborazione consiste nello scegliere i più efficaci e farli replicare per esercitare l’azione di difesa».

«In rapporto a Covid–19, il passaggio–chiave della loro messa a punto è la possibilità di inserirli sia nel set dei farmaci efficaci sia di affiancarli ai vaccini nel timing del contrasto complessivo alla pandemia. E questo perché non sono utilizzabili solo per la cura, ma – almeno in determinati casi – anche per la prevenzione; inoltre, rispetto ai vaccini, compensano un handicap (la minor durata della “copertura”) col vantaggio della maggior rapidità d’azione».

Il quadro relativo ai farmaci, però, è ancora nebuloso, afferma Modeo. «La difficoltà, per i MAb, è al momento legata soprattutto ai costi, tali da rendere il farmaco elitario». «Mentre un altro teorico problema, condiviso coi vaccini (quello di eventuali mutazioni di Sars-CoV-2 in grado di aggirarne l’efficacia) potrebbe essere a sua volta affrontato coi cocktail, cioè con assemblaggi di più anticorpi in grado di fornire risposte immunitarie differenziate».

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6. L’equilibrio tra salute ed economia

Nel rapporto tra salute ed economia l’autore parla di una «coperta corta», «nel senso che – comunque vada – dovremo sacrificare molti pezzi». Continua: «Da qui fino a un possibile, vero mutamento di paesaggio, resta la coda (non breve) di simil–cattività, da affrontare solo con la “metrica” epidemiologica». Da questo ultimo punto derivano alcune acute considerazioni finali di Modeo.

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«È vero che in generale i “provvedimenti” contano più dei “comportamenti”, nel senso che i primi incanalano i secondi. Ed è vero che una simile immagine – stilizzazione degli shopping urbani di questi weekend – allude con efficacia alla limitazione del nostro libero arbitrio. Limitazione, appunto, non inesistenza: per quanto tante discipline abbiano mostrato la matrice inconscia e condizionata di tante nostre “scelte”, resta uno “spiraglio” di deliberazione da esercitare su un range di gradazioni, anche in contesti “sigillati” come lo shopping. Nessuno impone a nessuno di entrare e sostare in un negozio o uno store sovraffollati: la soddisfazione di certi “bisogni” può essere quanto meno rimandata; e una legge o una norma non vanno prese ad alibi, specie se “interpretate” verso il massimo grado di anarchismo consentito dalle stesse», spesso spacciato per «esigenza di libertà».

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Discorso valido anche per tanti altri comportamenti «disfunzionali»: «le tante mascherine non o mal indossate, i tanti assembramenti non necessari, le tante “deroghe” auto-concesse in situazioni impossibili da controllare. Ed è vero, infine, che in molti casi comportamenti simili sono naturali sbocchi adattativi, specie in contesti in cui la cattività tocca punte di alienazione disperante, come in certe “carceri” condominiali delle periferie urbane». Anche se, alla fine, la responsabilità individuale rimane, per qualche mese, l’unico «proiettile magico (anche se spuntato) di cui disponiamo», conclude Modeo.

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