Quasi tutti i partiti ripetono: con Draghi fino al 2023. Ma è veramente così?

Prosegue l’attività del governo Draghi per uscire dall’emergenza sanitaria, economica e sociale e, a distanza di diversi mesi, è ormai possibile tracciare un primo bilancio: quella che è stata definita fin da subito “pax draghiana” sembra reggere, quasi tutti gli esponenti politici continuano a dirsi a favore di un esecutivo Draghi fino al 2023. Ma è veramente così? Intanto i partiti si ristrutturano, cercano un nuovo posizionamento nello scacchiere e non è chiaro fino a che punto le dichiarazioni possano conciliarsi con le intenzioni. 

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Il 23 luglio il segretato del Pd Enrico Letta alla Festa dell’Unità a Napoli pronuncia l’elogio di Mario Draghi: “Draghi è fantastico, è un drago. Ieri ha detto che bisogna vaccinarsi e subito stamattina Salvini si è vaccinato. E’ stato bravissimo. Io penso che dobbiamo tirare dritto su questa strada. A un certo punto Draghi dovrà dirgli adesso mettiti da parte, e lui si metterà da parte. Credo che sia importantissimo e fondamentale che noi riusciamo a fare bene questo lavoro di sostegno al Governo perché faccia bene tutte le cose che sono da fare“.

Alla caduta del governo Conte II non erano poche le preoccupazioni per il pazzo pazzo governo nascente: per ricordare l’assurdità della situazione, il M5s, il partito “contro i poteri forti” sta nel governo di un ex banchiere della Bce insieme a “partito di Bibbiano” di cui è diventato alleato, insieme a Silvio Berlusconi e insieme al tanto odiato Matteo Renzi. Si può guardare l’assurdità della situazione dalla prospettiva del M5s, così come dalla prospettiva di tutti i partiti politici attualmente in maggioranza: la situazione ha ancora dell’incredibile. Eppure, la pax draghiana sembra resistere, i travestimento moderato, liberale, progressista ed europeista di quasi tutte le forze politiche prosegue. E anche con entusiasmo.

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Draghi fino al 2023: per Letta è amore, per Di Maio una speranza

Tra i principali “infatuati” del governo Draghi c’è sicuramente Enrico Letta, che già il 9 luglio al convegno dei Giovani Imprenditori di Confindustria ribadiva che la posizione del Pd è di sostenere Draghi “per tutta la legislatura, fino alle elezioni del marzo 2023, perché l’Italia una occasione così l’Italia non l’ha mai avuta“. Per Letta bisogna trarre vantaggio dal peso nel “consiglio europeo, dove Draghi è la persona più ascoltata di tutti. E’ una occasione straordinaria. Bisogna dire chiaramente da che parte si sta. Dire ‘io sostengo Draghi fino alla fine della legislatura’ o dire ‘io lo sostengo ma prima finisce e meglio è’. O si sta da una parte o dall’altra“. Ebbene, Letta sta ancora dal lato della barricata che ribadisce: con Draghi fino al 2023. Una posizione condivisa – seppur con meno trasporto – anche dal ministro degli Esteri, il M5s Luigi Di Maio, che a inizio luglio si augurava che “si possa completare la legislatura perché altrimenti l’Italia apparirà agli altri Paesi non credibile e non affidabile. Dobbiamo essere credibili per ottenere i fondi, se l’Italia prende impegni e si dimostra instabile a pagare saranno i cittadini, non i politici”.

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Berlusconi lo vorrebbe anche dopo

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A questo primo tentativo di blindatura, si aggiunge l’ormai nota ammirazione di Berlusconi per Mario Draghi, che in un’intervista a Fortune Italia del 3 luglio addirittura sembra prefigurare la possibilità che Draghi prosegua il suo percorso a Palazzo Chigi anche dopo il 2023: “Sinceramente non mi ha mai troppo appassionato la contrapposizione tecnici-politici. Il Paese ha bisogno di competenze al massimo livello e il presidente Draghi per il suo stesso curriculum dà le massime garanzie di autorevolezza. Non per caso, del resto, sono stato proprio io, da presidente del Consiglio, a volerlo alla guida di Bankitalia e poi a imporlo in Europa alla guida della Bce. Ma le competenze non sono mai neutre e la distinzione fra tecnici e politici ha un valore relativo”, diceva il Cavaliere.

Salvini dice di volerlo difendere

Infine, non potevano mancare le dichiarazioni si sostegno del leader della Lega Matteo Salvini, che addirittura l’11 luglio in un’intervista al Corriere avrebbe ribadito di voler difendere il governo Draghi da presunti attacchi di Giuseppe Conte: “Conte farà di tutto per mandare a casa Draghi perché lo accusa di avergli rubato il posto. Cercheremo di impedirlo con ogni mezzo democratico. Ma sa cosa le dico? Facciano quel che credono, tanto il governo va avanti lo stesso”. Poi ancora: “Penso nel 2023 perché anche se Conte vuole mandare a casa Draghi i 5 Stelle non vogliono rimanere senza lavoro e senza stipendio prima del tempo. Noi saremo al fianco di Draghi fino alla fine. Poi si voterà e avremo, spero, un governo a guida Salvini che come primo atto introdurrà la flat tax”.

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Legittimi dubbi

Ma se l’intenzione degli altri alleati di maggioranza sembra sincera – per un motivo o per l’altro -, quella di Salvini lascia qualche inevitabile ombra, soprattutto in virtù delle continue ambiguità che hanno investito il rapporto tra Draghi e il leader della Lega (la stoccata dell’ultima conferenza stampa è solo l’ultimo esempio). Eppure, è legittimo pensare che neanche Salvini voglia andare alle elezioni: all’orizzonte c’è Fratelli d’Italia con il fiato sul collo nei sondaggi e un partito da ristrutturare. Perché è questo il punto: tutti dichiarano fedeltà ma nel frattempo si rigenerano dalla profonda crisi politica in cui sono piombati. Cercano il loro posto in uno scacchiere radicalmente mutato. Ma siamo sicuri che, volenti o nolenti, le due manovre non si escludano? Probabilmente, il sostegno a Draghi e l’opera di “ristrutturazione” resteranno insieme finché le forze politiche non si sentiranno pienamente rimesse in sesto. E probabilmente, al momento, nessuno crede di potercela fare prima del 2023.

Le eccezioni: Meloni e Conte

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All’interno di questo quadro, mancano due nomi: Giorgia Meloni e Giuseppe Conte. La prima si è sempre detta a favore di un rapido ritorno alle urne e, pur ribadendo di rispettare l’attuale premier, ha anche sottolineato di sperare in una caduta del governo prima del 2023. Ma la posizione di Fratelli d’Italia non deve stupire, non a caso il partito è all’opposizione. Ciò che stupisce è invece il silenzio dell’ex premier Giuseppe Conte, leader in pectore del M5s, da sempre molto timido nel dichiarare il suo sostegno al governo Draghi. Una tendenza che, anzi, ultimamente sta preoccupando sempre più.

Stando a la Repubblica, a proposito della riforma della Giustizia, proprio oggi l’ex premier avrebbe affermato: “In pochi giorni capiremo se le nostre richieste hanno trovato accoglimento o meno. È chiaro che una prospettiva di fiducia alla riforma senza alcune modifiche sarebbe per noi difficile“. Poi Conte ribadisce che sulla riforma Cartabia c’è un confronto “costruttivo con Draghi, ma ho chiarito che la proposta come originariamente formulata pone problemi serissimi al Movimento“. Esattamente, a esser messo a rischio è proprio il Movimento. Così ci ritroviamo nel paradosso in cui gli unici restii a rilasciare dichiarazioni di lealtà a Draghi sono i due opposti: da un lato un partito sempre uguale a se stesso (FdI), dall’altro il partito che deve affrontare la trasformazione più intensa, e che per questo cerca dimostrazioni di forza muscolari con l’attuale premier.

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Il nuovo scacchiere

A questo punto è inevitabile chiedersi: se davvero – come prospettato da Marco Damilano su L’Espresso – i partiti si stanno riorganizzando in un grande partitone di centro, che ruolo avrà il M5s di Giuseppe Conte in questo scacchiere? Conte sarà in grado, come gli altri, di rigenerare il Movimento senza intaccare il governo? Secondo Enrico Letta “noi avremo un campo politico che nel ’23 sarà diviso in due: da una parte non ci sarà più il centrodestra che abbiamo conosciuto negli anni ’90, negli anni 2000, che era alleato con il Ppe, con Kohl, con la Merkel. No, da una parte avremo Orban, il governo di Morawecki, Salvini e Meloni quella roba lì che in Europa è marginalizzata e si autoemargina su posizioni che sono assurde per l’Italia; dall’altra parte dobbiamo costruire un campo di cui noi naturalmente siamo l’architrave. Questo campo progressista democratico sarà il campo che si deve assumere la responsabilità di costruire un’alternativa vincente. Noi lo possiamo fare perché abbiamo le spalle per farlo“. Ma è davvero così?

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