Le elezioni amministrative ridimensionano la destra di Salvini e Meloni

Nel corso di queste ultime amministrative è accaduto qualcosa: i partiti di destra dati per favoriti a livello nazionale non si sono rivelati all’altezza delle elezioni comunali, Salvini e Meloni hanno subito una pesante sconfitta un po’ ovunque. Per questo per il centrodestra è il tempo dell’autoriflessione, e forse anche della resa dei conti all’interno della coalizione.

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MeteoWeek.com – foto da Adnkronos

Le amministrative 2021 potrebbero averci insegnato tre cose: la prima è che non si può parlare di vittoria clamorosa del centrosinistra di fronte a percentuali così alte di astensionismo; la seconda è che a uscirne rafforzato è il governo Draghi (ma non il gioco democratico); la terza è che il centrodestra – soprattutto quello rappresentato da Salvini e Meloni – sarà costretto a fare un’opera di autoriflessione per capire cosa è andato storto. La coalizione data per favorita alle elezioni politiche, alle amministrative è riuscita a rieleggere solo il sindaco di Trieste, perdendo in tutte le altre grandi città (Torino, Roma, Milano, Napoli e Bologna). I casi sono troppi per attribuire la colpa esclusivamente a situazioni locali, sono troppi per non chiedersi cosa sia andato storto, a partire dalla selezione dei candidati.

Di fronte a questi numeri le reazioni ufficiali del centrodestra sono eterogenee, ma tutte lasciano intendere un’amarezza di fondo. Mentre Matteo Salvini prova a negare la sconfitta (sottolineando che il centrodestra ha ottenuto due sindaci in più rispetto a prima), mentre il leader del Carroccio sottolinea il forte tasso di astensionismo e attacca giornalisti e ministra Lamorgese, Giorgia Meloni segue più o meno la stessa linea, ma ammette la sconfitta. “Si deve riconoscere che il centrodestra esce sconfitto da queste elezioni amministrative. Ne siamo tutti consapevoli. Non riusciamo a strappare al centrosinistra le grandi città. Questo richiede una valutazione approfondita da parte del centrodestra“, ribadisce la leader di Fratelli d’Italia, che comunque si rifiuta di parlare di débâcle. “Débâcle è del M5S, il Pd sta festeggiando sulle spoglie degli alleati grillini“, sottolinea. Al netto delle dichiarazioni a caldo, ad ogni modo, la vera distanza sulle posizioni di Meloni e Salvini post-amministrative si misurerà sulle pratiche da adottare per superare la sconfitta.

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Dopo le amministrative Giorgia Meloni vuole maggiore chiarezza

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Ed è in questo senso che vanno lette le parole della leader di FdI quando afferma che “rimane un tema che ci penalizza: i tre partiti hanno 3 posizioni differenti. Nel momento in cui un pezzo del centrodestra governa insieme al centrosinistra è normale che questo renda difficile creare un’alternativa chiara e provochi il disorientamento nell’elettorato del centrodestra, soprattutto nel secondo turno. Noi siamo stati penalizzati soprattutto nel secondo turno“. Proprio per questo motivo Meloni chiede un urgente vertice con Salvini e Berlusconi per fare chiarezza sulla linea politica del centrodestra. A confermare l’esigenza di un incontro, anche una telefonata tra i tre. Insomma, per Meloni l’errore più grande sarebbe stato privilegiare la rivendicazione tre linee politiche differenti che, nel complesso, danneggiano tutta la coalizione.

Ma non si tratterebbe di una competizione spietata, ripete Meloni: ”Questa del derby interno tra Fdi e Lega è un’invenzione della stampa. La leggo tutte le mattine ma mi sembra forzata. Io e Salvini ci scriviamo la mattina per commentare questa cosa surreale. La verità è che ci sono delle posizioni diverse che creano un problema di identità complessiva della coalizione”. Su questo punto Meloni è decisa ad andare fino in fondo, continuando a “raccogliere le firme per la mozione di sfiducia nei confronti della Lamorgese”. E quando le viene chiesto se ci sarà una mozione unitaria del centrodestra, la leader di FdI risponde: ”Vediamo, prima o poi ne parlerò con gli alleati, con i quali credo mi vedrò questa settimana”.

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Matteo Salvini rintraccia gli errori altrove

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MeteoWeek.com (Photo by Emanuele Cremaschi/Getty Images)

Ebbene, la chiamata all’appello per Matteo Salvini potrebbe arrivare molto presto, qualora la mozione di sfiducia contro Luciana Lamorgese fosse realmente presentata. In quel caso cosa farà il leader della Lega? Voterà a favore di una mozione che rispecchia i suoi numerosi attacchi contro l’operato della ministra o dimostrerà fedeltà al governo e alla maggioranza di cui fa parte? Probabilmente seguirà ancora una volta la linea della contestazione interna. “Ribadisco a Draghi ‘facciamo un incontro con il ministro Lamorgese’“, avrebbe già sottolineato. In sostanza, Salvini continua a prendere tempo, anche perché seguire Giorgia Meloni sulla linea dura (contro il Green Pass, ad esempio), significa condannare la Lega a una spaccatura interna più o meno definitiva. Per fare questo, però, per prendere tempo, Salvini ha bisogno di ridimensionare la sconfitta. Anche in questo senso vanno lette le sue parole quando ha detto che “chi governava le grandi città è stato confermato“, che il centrodestra ha vinto in 4 comuni tra i capoluogo (Trieste, Pordenone, Grosseto, Novara), che “ad ora, a spoglio ancora in corso, il centrodestra ha più sindaci rispetto a quelli che aveva 15 giorni fa, prima dei ballottaggi. Se la matematica non è una opinione, il centrodestra al momento guadagna due sindaci rispetto a prima, passando da otto a dieci nelle città al ballottaggio. Ovviamente avremmo preferito vincere a Roma, ma i cittadini hanno sempre ragione“.

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Insomma, per Salvini il centrodestra non è stato sconfitto, piuttosto ha vinto poco. E la colpa sarebbe imputabile, oltre alla scelta tardiva dei candidati, ad altri fattori esterni: l’astensionismo, gli attacchi dei giornali, la manifestazione antifascista, la cattiva gestione di Lamorgese, la crisi della democrazia. A proposito di Gualtieri avrebbe affermato: “Se uno viene eletto da una minoranza della minoranza è un problema non per un partito, ma per la democrazia”. Tuttavia, la realtà che prima o poi i partiti dovranno affrontare è un’altra, e parla di un centrodestra diviso che cresce singolarmente ma in coalizione si disgrega. La realtà, inoltre, è che l’intera coalizione a livello nazionale è trainata da due forze in grado di intercettare i malumori del Paese, ma incapaci di fornire la classe dirigente adatta per risolverli, almeno a livello locale. Su questi punti si confronteranno i leader di una coalizione che o va verso l’unità a tutto campo o va verso la disgregazione.

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