L’agitazione sul Quirinale è frutto di instabilità che produce altra instabilità

Mentre in Parlamento gli animi si scaldano sempre più alla ricerca di un nome per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, il segretario del Pd Enrico Letta lancia una proposta per blindare la manovra: “Serve un patto di tutti i leader con Mario Draghi per mettere al sicuro la legge di Bilancio. Subito dopo, cominciamo a parlare dell’elezione del nuovo capo dello StatoArriva, a tal proposito, il sì di Berlusconi e Salvini. Ma i buoni propositi basteranno ad arginare la crisi politica che si profila all’orizzonte?

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Dopo le parole dell’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha fatto sapere di essere contrario a un mandato bis, come prevedibile aumentano le fibrillazioni all’interno dei partiti e tra le file dei parlamentari in vista del febbraio 2022. La ricerca di un nome per la prossima elezione del capo dello Stato sembra ormai diventata un’ossessione fatta di strategie incrociate, nomi annunciati un po’ sul serio e un po’ per bluffare, veti e controveti su ipotesi al momento ancora fumose. Forse anche troppo. Di certo l’azione di governo non trae beneficio dalla prospettiva di un premier che potrebbe entrare nella rosa dei nomi papabili, di certo l’aura di mistero che avvolge l’ipotesi di un Draghi al Quirinale non favorisce un discorso onesto e collaborativo sulla legge di Bilancio. Ad accorgersene è stato anche il segretario del Pd Enrico Letta, che ha lanciato una proposta proprio per blindare la manovra: “Serve un patto di tutti i leader con Mario Draghi per mettere al sicuro la legge di Bilancio. Subito dopo, cominciamo a parlare dell’elezione del nuovo capo dello Stato”. In questo modo Letta cerca di far adottare anche alle altre forze politiche la sua strategia del silenzio sul tema Quirinarie.

Un silenzio indispensabile, visto che nella maggioranza c’è “uno sfilacciamento in corso che temo moltissimo, perché in questo momento c’è bisogno dell’opposto. Un’assunzione di responsabilità delle forze politiche a sostegno di Draghi. Un patto tra i partiti che sostengono questo governo“, dice Letta a La Stampa. L’obiettivo è ottenere “un incontro di tutti i leader con il premier perché questo accordo sia formalizzato: blindiamo la manovra e gli aggiustamenti necessari che concorderemo insieme in Parlamento. Ognuno rinunci alla sua bandiera per un risultato condiviso da tutti”. Una manovra necessaria perché “immaginare che sulla prima legge di Bilancio di questo governo ci possa essere un Vietnam parlamentare non è accettabile”.

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I sì alla collaborazione

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Insomma, per Letta è necessario stabilire una scala di priorità ed evitare che la discussione sul Colle si ripercuota sulle discussioni in materia di legge di Bilancio. Ne andrebbe dei reali interesse dei cittadini in attesa di riforme sostanziali. A rispondere all’appello è stato innanzitutto il leader della Lega Matteo Salvini, che ha ribadito la piena disponibilità a dare vita a una collaborazione di questo tipo. D’altronde, ricordano dal Carroccio, lo aveva proposto lui stesso al presidente Draghi il 13 ottobre, quando aveva suggerito un tavolo con tutti i segretari dei partiti di maggioranza per evitare inutili scontri senza via di uscita. L’apertura a un confronto di questo tipo arriva anche da Forza Italia, con Silvio Berlusconi che si è già detto favorevole alla proposta lanciata da Letta. “Silvio Berlusconi è favorevole e io con lui“, avrebbe chiosato Antonio Tajani interpellato dall’ANSA. Chiude il cerchio Italia viva, che si mette a disposizione per “mettere in sicurezza i conti del Paese, per non perdere il grande lavoro che ha consentito la ripresa dell’Italia, prima di occuparsi del Quirinale. Lo diciamo da tempo e siamo assolutamente d’accordo a lavorare su questo“, dichiara Ettore Rosato, presidente di Italia Viva.

Intanto gli appelli alla cautela si moltiplicano, e anche il ministro dell’Interno Luigi Di Maio chiede di ridimensionare o, quanto meno, di trattare in maniera più prudente la discussione sull’elezione del prossimo presidente della Repubblica. “Stiamo qui a parlare di totonomi mentre abbiamo una legge di bilancio da portare a casa, una campagna dì vaccinazione da concludere e le riforme del Pnrr da attuare”, ripete Di Maio, che consiglia di riparlarne a gennaio. Anche perché “sul Colle chi fa nomi adesso, li fa solo per bruciare i candidati. Questo è un gioco al massacro, una caratteristica tutta italiana, cosi facciamo del male al Paese bruciando i migliori“. Eppure, appare sempre più evidente come proprio la crisi politica stia scatenando l’eccessivo zelo con il quale viene affrontato, in questo momento, il tema Quirinarie.

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Lo scotto della crisi dei partiti 

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Con un governo di unità nazionale che tiene insieme partiti dai volti diversissimi, spesso in contrasto tra loro, costretti a riformarsi in fretta e furia per garantire una tenuta dell’esecutivo, le conseguenze sono ormai chiare a tutti: le diverse forze politiche, per reggere il gioco, si stanno disintegrando internamente, e per questo cercano di ricomporre i pezzi senza produrre eccessivi smottamenti in superficie, in maggioranza. Questi movimenti interni sono bene evidenti, ormai lo sappiamo, soprattutto all’interno della Lega e del M5s (ma anche il Pd ha i suoi nodi di lunga data da sciogliere, chiamati Base Riformista). E questi smottamenti interni sono evidenti ancor di più quando si parla di coalizioni, cioè del posto che – guardando da lontano e senza sottigliezze – una forza politica vuole assumere. Tutto questo si riversa inevitabilmente non solo all’interno delle discussioni in atto per le riforme, ma anche sulle prospettive di azione del governo: per alcuni Draghi premier è una figura indispensabile fino al 2023, per altri il suo ruolo andrebbe sublimato al Colle, per altri ancora lo spostamento al Colle rappresenterebbe solo l’occasione per lasciare un posto vuoto a Palazzo Chigi.

Basti pensare alle differenti posizioni del centrodestra, con una Giorgia Meloni alla ricerca del voto anticipato e un Antonio Tajani che si augura che “Draghi resti fino al 2023. Oppure basti pensare alle ambiguità del M5s, sciolte solamente con una recente presa di posizione di Giuseppe Conte, che in assemblea ha dichiarato di essere contrario al voto anticipato. In un’intervista a un quotidiano olandese avrebbe poi assicurato: il Movimento “non cerca di trasferire Draghi da Palazzo Chigi al Colle“. Poi, però, Conte prosegue: “Anche se non c’è dubbio che il candidato presidenziale più adatto sia qualcuno di alta morale, capace di raggiungere l’unità nazionale”. Di fronte a questo scenario e a gruppi parlamentari pentastellati imprevedibili, il garante Beppe Grillo opta per la via del silenzio. Stando a quanto riportato dal Corriere, il fondatore del Movimento spererebbe ancora in un ripensamento di Sergio Mattarella, considerato l’unico scoglio a cui aggrapparsi in una fase tanto complessa.

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Il ruolo del prossimo presidente della Repubblica

Ma volendo alzare un po’ la discussione, astraendo dai toto-nomi e dalle posizioni espresse o implicite, la reale questione sembra essere un’altra: che ruolo avrà il prossimo presidente della Repubblica? In Italia c’è già chi (come Giorgetti) propone una struttura più vicina al semi-presidenzialismo. Ora, partendo dal presupposto che il semi-presidenzialismo alla francese è in Italia inattuabile e incostituzionale, questa proposta un qualcosa ce lo dice ugualmente: i partiti sono in cerca di qualcuno che – in un momento di grande instabilità – riesca a tenere il timone fermo, magari interpretando il ruolo del presidente della Repubblica in maniera più “interventista”. Di fatto sarà lui a scegliere il prossimo presidente del Consiglio, di fatto sarà lui a decidere quando sciogliere le Camere e tornare al voto. Due facoltà che in momenti di minore caos politico, in passato, erano sembrate dei pro-forma, ma che ora avranno il potere di incidere notevolmente sul futuro dell’Italia. Insomma, i partiti sanno che il nome che uscirà fuori dalla discussione sarà, in questo momento storico, più importante che mai, sanno che dovrà rappresentare un baluardo contro l’instabilità. Il problema è che questa consapevolezza rischia, a sua volta, di causare altrettanta instabilità, in un cianciare di ipotesi partito troppo in anticipo, con troppi “se” in sospeso. E così, ancora una volta, l’Italia usa il machiavellismo per salvarsi, ma finisce per rimanerne preda.

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