Elezioni Mattarella, è imploso il centrodestra: siamo al punto zero

Il centrodestra registra una delle più pesanti batoste – politicamente parlando – registrate negli ultimi anni: troppi errori, strategia folle, la spaccatura è totale.

Centrodestra in crisi
Centrodestra in crisi

Berlusconi, Casellati, Casini, Belloni, Tajani, Nordio, Moratti, Pera: questi sono i nomi che il centrodestra ha “bruciato” nel corso della settimana di votazioni per eleggere il presidente della Repubblica. Un appuntamento che ovviamente era noto da tempo: da sette anni, se vogliamo. Il capo dello Stato dura in carica sette anni, appunto, ed è pertanto facile sapere quando arriverà il momento di eleggerne un altro. In questo caso, a rendere più stringente e delicato l’appuntamento si erano aggiunte le parole di Sergio Mattarella, che sollecitato al riguardo aveva specificato di non essere disponibile ad un ulteriore mandato. Insomma, bisognava fare le cose per tempo e bene, ed arrivare al voto con candidati plausibili e con qualche abbozzo di accordo politico.

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Ma il pressappochismo e l’improvvisazione priva di talento paiono essere le principali caratteristiche dei partiti, di questi tempi. I nomi che circolavano prima delle elezioni, come la maggior parte di quelli usciti fuori nei sei giorni di voto, erano più frutto di suggestioni del momento che di ragionamenti realistici e di prospettiva. In questa incredibile gara al ribasso il centrodestra ha dato il peggio di se stesso: una considerazione che politicamente è evidente, e che inevitabilmente aprirà un confronto nei partiti ed in tutto lo schieramento. La sequela di errori è iniziata subito, con l’idea di poter candidare Silvio Berlusconi, che era oggettivamente impossibile potesse essere eletto. Il leader di Forza Italia, quantomeno, ha avuto l’intelligenza politica di sfilarsi in tempo: probabilmente la consapevolezza di non poter contare sul sostegno compatto di tutti i parlamentari di centrodestra, che comunque non sarebbero bastati, ad un certo punto è emersa con forza.

Errori su errori, a partire dai numeri

Maria Elisabetta Alberti Casellati
Maria Elisabetta Alberti Casellati

Il primo errore – grave – dei leader conservatori è stato esattamente questo: pensare che la posizione di forza che numericamente avevano a bocce ferme fosse sufficiente per poter eleggere un presidente. Valutazione sbagliata: perchè se è vero che in effetti, numeri alla mano, il centrodestra poteva contare su circa venti voti in più rispetto al centrosinistra (ma avrebbero dovuto votare tutti in modo compatto), è altrettanto vero che i circa 50 voti che erano necessari per arrivare alla fatidica quota di 505 elettori andavano cercati per tempo e convinti con uno o al massimo due nomi molto forti ma allo stesso tempo il più possibile condivisi.

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Matteo Salvini, in particolare, aveva dichiarato fin dall’inizio che “era giunto il momento per la destra di eleggere un presidente”: vero, se si pensa alla composizione del Parlamento e ai sondaggi nel “paese reale”. Ma l’operazione andava ben preparata, lavorando sull’unità reale del centrodestra e convincendo – tra Gruppo Misto, Italia Viva e magari anche Movimento 5 Stelle – un numero sufficiente di parlamentari. Niente di tutto questo: l’impressione è che i tre principali partiti si siano presentati senza un coordinamento reale, lasciando spazio a strategie e stratagemmi di parte che hanno portato una significativa dispersione di voti risultata poi decisiva. L’esempio più evidente è il voto alla presidente del Senato Casellati: avrebbe dovuto essere “l’atto di forza” con il quale la destra imponeva la sua candidata, si è trasformata nella sconfitta più pesante di tutta la settimana. 382 sono stati i voti per la rappresentante di Forza Italia, ben 123 meno di quelli che sarebbero serviti.

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I numeri molto spesso spiegano tutto: in questo caso forniscono la fotografia esatta del corto circuito nel centrodestra. I “voti d’area” su cui poteva contare un candidato conservatore erano, a bocce ferme, 454.  Sottraendo i 382 espressi per la Casellati, ne restano 72, 71 contando gli astenuti di giornata. Sono quelli che mancano all’appello: voti “interni” che sono mancati. Sono tanti, troppi. Questo è il primo problema con cui i leader dei partiti di centrodestra dovranno confrontarsi in questo “post elezione”: come si può immaginare di governare il paese se, in un momento politicamente rilevante come è l’elezione del presidente della Repubblica,  non si è riusciti nemmeno una volta a votare tutti insieme?

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