Coronavirus, gli imprenditori: “Contagio non può essere infortunio sul lavoro”

Serpeggiano dubbi e perplessità sulla classificazione del contagio da Coronavirus come infortunio sul lavoro. Gli imprenditori dal canto loro si impegnano a garantire la sicurezza dei dipendenti.

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Continua a far discutere il contenuto della circolare che l’Inail ha reso nota nei giorni scorsi. In particolare, ci si è soffermati sulle migliaia di casi di contagio da Coronavirus, che hanno riguardato persone che hanno contratto il Covid sul posto di lavoro. Da qui è arrivata la decisione dell’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, che ha dunque fatto passare la circolare. Il contagio da Coronavirus viene messo a tutti gli effetti sullo stesso piano di un infortunio sul lavoro. Una decisione che non poteva non suscitare reazioni contrapposte, a seconda degli ambiti di impiego.

Se c’è infatti poco da discutere su questo provvedimento nell’ambito della sanità, restano molti dubbi in altri settori della produttività nel nostro Paese. E non mancano le segnalazioni da parte degli imprenditori, che ritengono eccesivo questo provvedimento. Più che altro, secondo alcuni di loro bisogna fare un distinguo piuttosto netto, tra l’ambito sanitario – che ogni giorno lotta contro il Coronavirus – e il resto del mondo del lavoro. “Le aziende si sono attrezzate: lavorare in uno stabilimento è più sicuro che andare a fare la spesa”, sostiene Giuseppe Pasini, presidente dell’associazione degli industriali Aib di Brescia.

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Ma la sua non è l’unica voce in un coro di imprenditori che si è alzato nelle ultime ore. Secondo Enrico Frigerio, capo di una fonderia di Brescia, “quello che era giusto diventa ingiusto se viene esteso su tutti i dipendenti e su tutte le imprese”. Ma anche Alessandro Tagliabue, che gestisce un’azienda di lavorazione marmi, si chiede se ha senso continuare a impegnarsi: “Se per qualsiasi motivo un nostro collaboratore si contagerà per la più diversa occasione, io rischio di finire sotto processo”. Proprio così: nel caso di un contagio da Coronavirus, è il datore di lavoro a rischiare il procedimento penale.

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E i numeri sui contagi da Coronavirus sul posto di lavoro pongono l’accento sulla questione. I contagi denunciati all’Inail tra la fine di febbraio e il 4 maggio sono 37.352, con 129 morti. Va detto, ovviamente, che la quasi totalità dei casi e dei decessi riguarda medici, infermieri e personale sanitario. Tornando alla levata di scudi del mondo imprenditoriale Fabrizio Allegra, capo di una nota società elettrica, spiega: “Non è appropriato equiparare l’infortunio sul lavoro al contagio da coronavirus. L’azienda deve garantire la sicurezza sulla base di procedure definite dal Dpcm del 26 aprile e dal Protocollo fra le parti sociali”.

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E Gianluca Brenna, gestore di una stamperia, rincara la dose e sottolinea il fatto che le aziende sono disarmate di fronte agli asintomatici. “Ci impegnamo nel difendere la salute nostra, dei collaboratori ma anche di chi occasionalmente entra nei nostri spazi aziendali – spiega – . Ma non possiamo tutelarci dai cosiddetti asintomatici, persone che senza volere e senza sapere contribuiscono a diffondere la malattia. Mi sento come un Davide armato di fionda contro un Golia invisibile. Forse riuscirò a essere il Davide che lanciala sassata giusta contro il virus, ma come si può pensare di aggiungere alle preoccupazioni imprenditoriali di questo periodo difficile anche le preoccupazioni di essere accusati del contagio”.

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