Silvio Berlusconi: “Non vedo un nuovo governo all’orizzonte”

Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi in un’intervista al Messaggero dice la sua sui nuovi scenari di governo che potrebbero scaturire da questo clima di tensione. La linea di Forza Italia è chiara: collaborare col governo pur restando all’opposizione, oppure andare al voto il prima possibile. Ma l’ultima decisione spetterà al capo dello Stato. Berlusconi ribadisce: “Non credo nei governi tecnici e non vedo un nuovo governo all’orizzonte. FI per il bene del Paese è a disposizione per lavorare con il governo che c’è, anche se questo governo non ci piace”.

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Vaccino, crisi di governo, Recovery Fund e legge di Bilancio. Sono tanti i temi caldi di questi giorni, mentre fuori il virus ingaggia la lotta attraverso una nuova mutazione proveniente dal Regno Unito. All’interno di questo quadro, sono tante le parole spese da leader e partiti, tante le parole a mezza bocca per ritrovare o rompere definitivamente una concordia sempre più in bilico. Silvio Berlusconi si schiera apertamente tra chi vorrebbe attraversare questa fase senza troppi sconvolgimenti o tra chi, al limite, preferisce le urne. E lo fa in un’intervista al Messaggero, nella quale afferma, tra le altre cose, a proposito della campagna vaccinale: “Avevamo chiesto al governo di discutere insieme questa materia, ma l’esecutivo ha ritenuto di fare da solo”. Insomma, le critiche da parte di Forza Italia persistono, ma restano in toni contenuti. Quando gli viene chiesto se crede che il governo sia pronto per la campagna vaccinale, Berlusconi risponde: “Posso solo sperarlo”.

Berlusconi: “Non credo nei governi tecnici e non vedo nuovo governo all’orizzonte”

E rispetto alla tenuta dell’esecutivo: “Non credo nei governi tecnici e non vedo un nuovo governo all’orizzonte. FI per il bene del Paese è a disposizione per lavorare con il
governo che c’è, anche se questo governo non ci piace. Così abbiamo ottenuto nella Legge di bilancio diversi risultati importanti”. Insomma, il Cavaliere sembra escludere ogni sostegno a un nuovo governo (che sia tecnico o di unità nazionale). L’unica via resterebbe il voto, come ribadito in data 16 dicembre dal leader di Forza Italia: “Se dovesse esserci una crisi noi ci rimetteremmo alla saggezza del Capo dello Stato. Pensiamo che la parola debba essere data agli italiani il prima possibile”. La decisione delle urne anticipate spetterebbe, comunque, al presidente della Repubblica: “Sta al Presidente della Repubblica dire se ci sono le condizioni per una maggioranza di centrodestra o per andare alle urne”.

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Fibrillazioni nell’opposizione

Ma anche all’interno dell’opposizione l’atmosfera non sembra tranquilla. Salvini, stando ad alcune dichiarazioni, non sembrava escludere un governo ponte in grado di traghettare l’Italia alle urne. Un’ipotesi immediatamente scartata dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che ha ribadito: il centrodestra non parteciperà a nessun governo di mezzo. O Conte o le urne. Una posizione molto simile a quella esposta da Berlusconi nell’intervista di oggi, seppur in toni meno perentori. Sulla questione è intervenuto anche il presidente di Fratelli d’Italia al Senato, Luca Ciriani, che in un’intervista ad Affaritaliani.it ha affermato: “Non sono in grado di interpretare le dichiarazioni di Salvini. Quello che posso dire, invece, è che la Lega pare abbia capito che non si può dialogare con questa maggioranza. La strada da seguire, lo ripeto, è quella del voto. Tra l’altro, come centrodestra governiamo insieme tantissime regioni e città importanti. Non vedo davvero alternative all’alleanza tra Lega, Forza Italia, FdI e partiti di centro. Quindi, non facciamo fatica inutile, impegnandoci anche solo a ipotizzare alternative perché non rientrano proprio nel novero delle possibilità per noi”. Ma sono anche altri i temi che sembrano dividere il centrodestra. Tra questi, l’adesione al Mes sanitario: Fi favorevole, Lega e Fdi contrari. All’interno dell’intervista al Messaggero Berlusconi ribadisce la sua indipendenza e scarica la palla al governo: “Fare sintesi è responsabilità di chi guida l’esecutivo, dove su questa materia mi pare che prevalgano i veti grillini. Non siamo un partito unico proprio perché siamo diversi, anche per stile. Noi non avremmo mai dato vita a comportamenti come quelli accaduti venerdì in Senato”.

Elezioni anticipate, l’apertura di Franceschini

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Intanto anche il Pd sembra preferire il voto anticipato in caso di caduta del governo. O almeno è questo quello che emerge dalle parole di Dario Franceschini, capodelegazione Pd al governo, rilasciate al Corriere della Sera: “Se si aprisse la crisi, tanto varrebbe andare a votare. Conte contro Salvini e ce la giochiamo”. A Renzi “non frega niente del Conte 3 o del Draghi 1” e se si aprisse la crisi farebbe “ballare tutti”. In quel caso – spiega Franceschini – si andrebbe incontro a un esito “incerto”, con il rischio di finire impantanati in un ulteriore governo nato dall’urgenza piuttosto che da una reale coesione. A quel punto, dice Franceschini, tanto vale andare alle urne. Il capodelegazione Pd prefigura quindi una coalizione composta da M5S, Pd, una lista di sinistra “e una lista Conte”. Italia viva resterebbe fuori, “perché chi ha provocato la crisi poi non potrebbe pensare di stare con noi”.

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Conte, maggioranza e bluff interni

Secondo il ministro della Cultura è necessario, infatti, capitalizzare il valore di Conte, che resta alto tra i cittadini, al di là delle cospirazioni di Palazzo: Conte “ha ancora una certa presa sull’opinione pubblica, si presenterebbe come la vittima di un complotto di Palazzo e potrebbe conquistare voti al centro, senza prenderne al Pd e a M5S. Perciò andrebbe sfruttato il suo valore aggiunto, perché potrebbe vincere”. Restano molti dubbi, però, sulla reale attuabilità dello scenario evocato – almeno a parole – da importanti forze politiche. A proposito delle esternazioni di Pd e Italia viva, permangono i dubbi su un bluff proveniente da ambo le parti: Renzi continuerebbe ad alzare i toni consapevole dell’impossibilità dell’elezione anticipata; Franceschini ora evocherebbe il voto per dimostrare a Renzi che no, andare alle urne non è così improbabile. In entrambi i casi, è lecito pensare che si tratti più di uno sfoggio di muscoli che di reali proposte per superare l’impasse.

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