Afghanistan, Biden si difende ma dice che non sa come finirà: la debacle

Il presidente degli Usa Joe Biden torna a parlare di Afghanistan, e lo fa dalla Casa Bianca, affiancato dalla vicepresidente Kamala Harris e dal segretario di Stato Antony Blinken. Parla del ritiro delle truppe, del salvataggio dei collaboratori, dei circa 6mila soldati schierati intorno all’aeroporto di Kabul per garantire una fuga sicura alle persone da portare in salvo. Poi la frase inquietante: “Non posso promettere quale sarà il risultato finale, ma come comandante in capo prometto che mobiliterò ogni risorsa possibile“. Eppure, la sensazione è che questi sforzi siano emergenziali, che questi scenari andassero previsti e governati con anticipo. Cosa è successo?

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Il presidente Usa Joe Biden torna a esporsi su quanto sta accadendo in Afghanistan, un evento dalla portata storica clamorosa, bollato da media e comunità internazionale come disastro statunitense. Dopo vent’anni di occupazione gli Usa ritirano le truppe dal territorio afghano e scoprono che le risorse, le organizzazioni, le truppe finanziate sul territorio si sgretolano nel giro di pochi giorni sotto la pressione dei talebani. Vent’anni per “portare la democrazia“, qualche giorno per vedere l’ormai ex presidente Ghani fuggire di fretta, talebani che sparano sulla folla, persone disperate accalcate all’aeroporto di Kabul in cerca di una via di fuga, donne ed ex collaboratori costretti a nascondersi per sfuggire al rastrellamento casa per casa dei talebani.

Ancora peggio: non solo gli Usa hanno dimostrato di non aver saputo “esportare la democrazia, ma stanno anche dimostrando di non poter difendere adeguatamente coloro che hanno collaborato per quel sogno di democrazia. Le cause di questo sfacelo, va precisato, vanno ricercate indietro nel tempo, in quattro amministrazioni statunitensi (due repubblicane e due democratiche) e negli accordi di Doha firmati da Trump che, stando alle fonti, avrebbero imposto ben poche condizioni ai talebani. Fatto sta che ora la palla è passata in mano a Biden, che la palleggia goffamente cercando di nascondere l’imbarazzo, ritrattando, promettendo ogni sforzo possibile ma anticipando che, vista la situazione, sarà difficile comprendere che piega prenderanno gli eventi.

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Le parole di Biden sull’Afghanistan

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MeteoWeek.com (Photo by Anna Moneymaker/Getty Images)

Biden ha parlato dalla Casa Bianca, affiancato dalla vicepresidente Kamala Harris e dal segretario di Stato Antony Blinken. Le sue sono parole che partono da una posizione difensiva, atte a scansare le accuse più pesanti: è uno dei ponti aerei più difficili della storia, gli alleati sono stati coinvolti a dovere, sono già tante le persone evacuate ad agosto (circa 13mila), ripete il presidente Usa. Questi gli assi portanti del discorso, quando Biden sottolinea: “La nostra credibilità non è in discussione, ho parlato con i nostri alleati Nato, ne avevamo parlato già al G7. Sta succedendo l’esatto opposto di quello che appare: stiamo agendo, decisi a fare quello che ci eravamo preposti”.

Questa la difensiva quando sottolinea che il “crollo in undici giorni era imprevedibile” e che “solo gli Stati Uniti possono essere in grado di mobilitare una forza come questa nell’altra parte del mondo e con questo grado di precisione“. Questo l’imbarazzo quando ci tiene a sottolineare i risultati portati a casa dagli Usa, sia nel ritiro, sia nella manovra ventennale in Afghanistan. “Ora abbiamo una missione da compiere in Afghanistan, e abbiamo circa 6mila dei nostri uomini migliori intorno all’aeroporto di Kabul per aiutare nelle operazioni. Faremo tutto il possibile per far arrivare tutte le persone in aeroporto”. Poi la minaccia: “Siamo in costante contatto con i talebani, per garantire la sicurezza degli americani e dei civili. E sono stato chiaro: qualsiasi attacco alle operazioni in aeroporto avrà una risposta immediata“. 

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Le zone d’ombra

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Eppure, sono tante le ambiguità di questa situazione, e sono talmente grandi che trapelano dalle parole dello stesso presidente degli Stati Uniti proprio nel momento in cui cerca di rassicurare la nazione sulla bontà delle operazioni. “Non posso promettere quale sarà il risultato finale o che sarà privo di rischi di perdite“, dice a un certo punto Biden, lasciando trasparire un’altra tragica realtà: gli Stati Uniti non sanno quanti sono precisamente i collaboratori e gli americani da portare in salvo e non sanno dove si trovano con esattezza. Detta in altre parole: gli Usa si sono mobilitati per militarizzare l’aeroporto di Kabul, ma lasciano una grande incognita su chi non riuscirà a raggiungerlo perché bloccato in periferia o in provincia (dove, lontano dai riflettori, stanno accadendo le tragedie peggiori). Poi un’altra zona d’ombra nell’organizzazione del ritiro, quando Biden lascia la patata bollente della prevenzione in mano all’intelligence affermando: “Secondo le informazioni che avevamo quello che è successo sarebbe potuto avvenire più avanti, e invece è avvenuto prima del previsto. Non ci aspettavamo che le posizioni afghane sarebbero state abbandonate così in fretta. Ma non c’è modo in cui avremmo potuto lasciare l’Afghanistan senza quello che state vedendo adesso”.

Infine, un’ultima chiosa per difendere la posizione storica degli Usa: “Mettiamo le cose in prospettiva. Che interessi abbiamo a questo punto in Afghanistan con Al Qaeda che non c’è più? Siamo andati in Afghanistan con l’obiettivo di sbarazzarci di Al Qaeda Afghanistan e di Osama bin Laden, e l’abbiamo fatto”. Ma è davvero così? A rispondere sono direttamente le parole del portavoce del Pentagono John Kirby che, a pochi minuti dalle dichiarazioni di Biden, fa sapere: “Sappiamo che al Qaeda e l’Isis sono ancora presenti in Afghanistan. Il numero non è esorbitantemente alto ma non abbiamo una cifra esatta perché la nostra capacità di raccolta di informazioni in Afghanistan non è più quella di una volta“. Così, alla disfatta storica si aggiunge la disfatta puntuale, legata a un ritiro male organizzato non solo da un punto di vista umano, ma anche da un punto di vista strategico.

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Come si è arrivati a questo punto?

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In questo modo, quanto accade in Afghanistan inquina la credibilità degli Usa, e sembra incrinare anche i rapporti tra Biden, Pentagono e 007. Per capire le responsabilità di quanto successo, tre commissioni del Senato controllate dai dem (Esteri, Intelligence e Forze armate) annunciano di voler individuare eventuali colpe delle amministrazioni che si sono occupate della gestione dell’Afghanistan. All’appello sarà chiamato anche Antony Blinken, per spiegare – stando a quanto riportato dal Corriere – “come il dipartimento di Stato possa essere stato talmente impreparato“. All’interno di questo clima di caos, l’Intelligence cerca di farsi scudo attraverso dichiarazioni anonime rilanciate dalle principali testate americane, che ribadiscono di aver avvisato l’amministrazione di un reale rischio di una caduta rapida, incrementando l’allerta già a luglio.

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Tutto questo, però, viene smentito dal Capo di Stato maggiore delle forze armate Mark Milley, che nega di aver ricevuto informazioni di questo tipo. Una linea mantenuta dallo stesso Joe Biden in occasione dell’8 luglio: è “improbabile” la caduta del governo di Kabul in seguito al ritiro, aveva affermato il presidente Usa. A distanza di qualche giorno dall’operazione, la situazione è questa: sono migliaia gli americani bloccati in Afghanistan, i collaboratori che riescono a raggiungere l’aeroporto devono farsi largo tra la folla per sperare di poter tornare a casa, mentre tutti gli altri (soprattutto le donne) restano tappati in casa sperando di sfuggire ai rastrellamenti porta a porta. Ebbene, al di là di quanto sostenuto da Biden, il ritiro doveva essere organizzato diversamente.

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