Pensioni rimandate? Nel 2023 potrebbe succedere a tanti: chi sono i lavoratori a rischio

Malgrado la riforma delle pensioni dell’ultima manovra di bilancio, nel 2023 una larga platea di lavoratori rischia di non poter andare in pensione.

Diversi potrebbero infatti non soddisfare un requisito fondamentale: quello economico. Ecco chi sono i lavoratori che rischiano di vedersi rimandare il pensionamento.

Infatti sono due le opzioni per il pensionamento dove a contare non sono soltanto gli anni dell’età anagrafica o quelli dei contributi versati, ma anche l’importo totale della pensione maturata.

Se inferiore a una determinata soglia, il pensionamento verrà rimandato. È il caso della pensione di vecchiaia e della pensione anticipata riservata ai contributivi.

Nel primo caso però il requisito economico vale soltanto per i contributivi puri, cioè per quella platea di lavoratori entrata nel mercato del lavoro dopo il 1996.

A fare problema è il fatto che dal 2023 la pensione minima sarà molto più alta rispetto a oggi. Un paradosso frutto della rivalutazione delle pensioni, vale a dire quello strumento pensato per mitigare le conseguenze del costo della vita sulle pensioni. Come ha stabilito il decreto firmato dal Mef, la pensione minima aumenterà di circa 38 euro mensili. Aumentando non di poco la soglia da superare per poter andare in pensione.

Contributivi puri, quando è richiesto il requisito economico per andare in pensione

Si parla, come detto, della pensione di vecchiaia, ma soltanto nel caso dei contributivi puri (coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996), e della pensione anticipata riservata ai contributivi.

Nel primo caso si può andare in pensione a 67 anni di età, con almeno 20 anni di contributi. Non sono richiesti altri requisiti – almeno per una parte – a chi ha una pensione calcolata col sistema retributivo. Chi invece ha l’assegno calcolato interamente col sistema contributivo deve aver maturato una pensione pari o una volta e mezza superiore al valore annuale della minima. Se consideriamo che – dato l’aggiornamento del tasso di rivalutazione all’1,9% – nel 2022 la pensione minima annua è pari a 6.830,18 euro, ne consegue che per avere la pensione di vecchiaia occorre aver prima maturato una pensione annua pari ad almeno 10.245,27 euro.

Invece la seconda misura è riservata soltanto ai contributivi puri, che possono anticipare di tre anni il pensionamento a condizione di aver maturato una pensione pari o superiore a 2,8 volte la minima. In questo caso già a 64 anni si può andare n pensione con almeno 20 anni di contributi. Fatti calcoli, questo vuol dire che – alla luce della pensione minima nel 2022 – occorre aver maturato una pensione di 19.124,50 euro, ovvero di circa 1.470 euro (lordi) al mese.

Ecco cosa cambia per andare in pensione il prossimo anno

Con la rivalutazione al tasso del 7,3% si alza dunque anche la quota per poter accedere a queste forme di pensionamento. Nello specifico, la pensione minima sale da 525,38 a 563,73 euro, mentre su base annuale salirà a 7.328,49 euro. Un importo al quale poi bisognerà aggiungere un altro 1,5%, come stabilito dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. Questa percentuale però non entrerà nel calcolo della soglia minima per andare in pensione nel 2023. Così per avere diritto alla pensione di vecchiaia, sempre a 67 anni di età, chi ha cominciato a lavorare dopo l’1 gennaio 1996 dovrà aver maturato una pensione di 10.992,73 euro. Quest’anno invece ne bastavano 10.245,27.

Mentre per la pensione anticipata contributiva, il requisito economico sale da 19.124,50 a 20.519,77 euro, un aumento pari a 1.400 euro l’anno. Il che vuol dire occorre aver lavorato sa sufficienza da potersi garantire ogni mese una pensione di 1.578,44 euro lordi.

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