Pensioni e adeguamenti, chi ci rimette di più col taglio degli aumenti

Col primo gennaio 2023 scatta quota 103. Ma l’uscita anticipata dal lavoro non è la sola novità della manovra di bilancio targata Meloni.

Con le nuove sei fasce introdotte dall’esecutivo vengono premiate le pensioni più basse. Per loro la rivalutazione sarà piena. Diverso il discorso per gli assegni più alti, che subiranno un taglio più corposo dei precedenti.

Col primo gennaio del prossimo anno si potrà uscire prima dal lavoro a 62 anni di età e 41 anni di contributi. Ma quota 103 non è l’unica novità della manovra 2023 nel campo delle pensioni. Con la prima legge di bilancio del governo Meloni va in «pensione» anche l’attuale schema di rivalutazione a tre «scaglioni» degli assegni con l’introduzione di sei nuove fasce. Con ricadute molto concrete nelle tasche dei pensionati. Il nuovo schema premia infatti le pensioni più basse, mantenendo la rivalutazione piena solo per quelle fino a quattro volte il minimo.

Ma per quelle che superano i 2.626 euro lordi c’è un taglio progressivo e inesorabile. Così ad esempio chi dovesse prendere un assegno lordo sui 3.150 euro andrebbe a perdere circa 46 rispetto al precedente adeguamento. Euro che sarebbero stati 172 in più al mese con una rivalutazione del 75%. Ma che scenderanno a 126 con un adeguamento pari al 55%.

Rivalutazione delle pensioni: chi ci perde di più

Non che sia una novità questa nella storia (quasi sempre accidentata) del sistema pensionistico italiano. Stavolta però l’inflazione colpisce duro come non si vedeva da una quarantina di anni. Perciò il taglio progressivo dell’adeguamento si rivela molto più sostanzioso che in passato.

Andrà meglio alle pensioni minime (adesso pari a circa 526 euro al mese) che nel 2023 vedranno un aumento dell’1,5% e del 2,87% nel 2024. Tenendo conto dell’indicizzazione del 7,3% le pensioni più basse dovrebbero arrivare a 570 euro nel 2023 e a 580 nel 2024. Alcune forze della maggioranza, Forza Italia in testa, puntano a portarle a 600 euro. La platea dei beneficiari riguarda circa 2 milioni di pensionati.

Per la prima delle sei fasce introdotte dalla manovra sarà garantita una rivalutazione piena. Sono le pensioni dal valore fino a quattro volte la minima. Per gli assegni fino a circa 2.100 euro lordi mensili la rivalutazione sarà dunque piena: 100%.

Cosa succederà agli assegni più alti

Le cose cambiano per gli oltre 3 milioni di pensionati che prendono una pensione che va da 4 a 5 volte la minima (assegni tra 2.100 euro e i 2.626). Per loro la perdita sarà ridotta: la rivalutazione sarà dell’80%. Così un assegno di 2.500 euro perderà circa 18 euro di aumento.

Per le pensioni tra 5 e 6 volte il minimo (assegni tra i 2.626 e i 3.150 euro) l’adeguamento sarà del 55%, che cala al 50% per quelle tra 7 e 8 volte la minima (tra i 3.151 e i 4.200 euro). La rivalutazione scende ancora (al 40%) per gli assegni tra 8 e 10 volte la pensione minima e al 35% per quelli che superano questo soglia.

Col vecchio sistema però l’adeguamento non scendeva mai sotto il 75%. Tradotto in cifre, vuol dire che chi ha una pensione superiore a 6 mila euro perderà circa 175 euro di aumento.

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